Il minimalismo di Carlo Cassola

Carlo Cassola (1917-1987), scrittore, partigiano, antimilitarista nell’ultima fase della sua vita, ha avuto una fortuna controversa, dovuta forse anche alla varietà della sua produzione. Chi di lui...



Carlo Cassola (1917-1987), scrittore, partigiano, antimilitarista nell’ultima fase della sua vita, ha avuto una fortuna controversa, dovuta forse anche alla varietà della sua produzione. Chi di lui conoscesse gli scritti della prima fase, quella generalmente definita “ermetica”, che comprende i racconti delle raccolte “La visita” e “Alla periferia” e il famoso “Il taglio del bosco”, faticherebbe a riconoscere lo scrittore più incline al neorealismo de “La ragazza di Bube”, il suo maggiore successo, che vinse il premio Strega nel 1963 e dal quale Luigi Comencini trasse un film interpretato da Claudia Cardinale.

“Scrittore solitario, schivo per istinto dall’aneddotica della vita letteraria”, lo definì Calvino; ed in effetti viene oggi da chiedersi chi possa apprezzare le sue opere, che hanno lasciato un segno minore rispetto a quelle di altri autori italiani del secondo dopoguerra, come Pavese, Ginzburg, Moravia. Ad esempio, chi ama Raymond Carver, mi verrebbe spontaneo rispondere, un po’ provocatoriamente. Sì, perché i racconti del primo Cassola (che Einaudi ha riproposto più volte, riunendoli anche in un’unica raccolta), molto simili a frammenti, a tessere di un mosaico che intero non vediamo, o a fotografie animate del paesaggio italiano, soprattutto toscano, fanno pensare a volte, con i dovuti distinguo, alla poetica “minimale” dell’autore americano.

Scritti fra il 1937 e il 1940, i racconti de “La visita” appartengono alla fase giovanile ed “ermetica” di Cassola. Il linguaggio è essenziale, descrittivo, dipinge luoghi e situazioni concrete, anche se immerse nella dimensione onirica delle illustrazioni de “La settimana enigmistica”, stati d’animo ed emozioni trattenute. Perfetto, in questo senso, “I due amici”, racconto di una passeggiata di due ragazzi nella zona dell’Argentario (la Maremma è uno dei luoghi dell’anima dell’autore, assieme a Roma, anche se a volte nei racconti compare persino l’Australia o il Polo), che si conclude con un’apparizione che è una sorta di epifania joyceiana, un manifesto che pubblicizza lo spettacolo di un’illusionista. Ed infatti Joyce (quello de “I dublinesi”) è uno dei numi tutelari dichiarati di Cassola. Nei racconti de “Alla periferia” la lunghezza cresce, compaiono ricordi d’infanzia e prima giovinezza, bozzetti dell’Italia di allora. L’approccio è sempre asciutto, oggettivo, e per questa via, quasi metafisico.

“Il taglio del bosco”, di nuovo, mi ha richiamato alla mente certi racconti carveriani centrati sulla descrizione minuziosa di attività specifiche, condotte generalmente da personaggi maschili, come la caccia o la pesca. È, all’apparenza, un altro racconto realistico, senza una gran trama o colpi di scena: i cinque protagonisti, i boscaioli e il proprietario dell’appezzamento, vengono descritti mentre svolgono il loro lavoro, nell’appennino toscano, alternandolo a brevi conversazioni e a incontri fugaci. Su tutto domina la natura, lo scorrere del tempo, ed un sentimento elegiaco che si scioglie nel finale, quando risulta più chiaro il tormento che attanaglia il protagonista.

Da scoprire o da rileggere.

 













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