Nzeb, l'Italia tra buone partenze e qualche problema



Articolo di e7, settimanale di QE - Un “nearly zero energy building” o Nzeb è un edificio ad altissima prestazione energetica in cui il fabbisogno quasi nullo è coperto principalmente da rinnovabili che generano sul posto. Una vera chiave di volta per la sostenibilità su cui l’Italia mostra un trend di crescita: circa 1.500 edifici di questo tipo a settembre 2018, in gran parte di nuova costruzione (90%) e a uso residenziale (85%). Oltre 130 edifici pubblici, inoltre, dovrebbero essere ristrutturati a livello Nzeb prima del 2020, a fronte di incentivi nazionali e regionali erogati. La strada da fare, però, è ancora lunga se si considerano gli obiettivi dettati dal nostro Paese: dal 2021 dovranno essere Nzeb tutti i nuovi immobili e, in Italia, quelli soggetti a una ristrutturazione importante di primo livello. Negli stessi casi gli edifici pubblici devono rispondere ai requisiti Nzeb già da quest’anno. Per fortuna, oltre a target sfidanti, a non mancare sono anche proposte e soluzioni fornite dagli esperti. La fotografia della situazione è stata scattata dall’Osservatorio degli edifici a energia quasi zero in Italia tenuto dall’Enea, che ha pubblicato un rapporto relativo al periodo 2016-2018. Con questo lavoro si stima e si approfondisce la diffusione degli Nzeb e delle relative tecnologie sulla base di diverse fonti dati, come catasti regionali e sistema informativo nazionale degli Ape, integrati da informazioni acquisite da progettisti e imprese, dalla rete e da letteratura.  Problemi e soluzioni E proprio qualità e disponibilità dei dati sono un primo problema. L’uso dei dati Ape, pur essendo stato giudicato soddisfacente nel reperimento di varie informazioni, è comunque “compromesso da incompletezza e modesta integrazione dei catasti con altre banche dati”. Per migliorare il patrimonio conoscitivo dei Catasti Ape, si legge nel report Enea, “si potrebbe considerare la revisione dell’xml unico concordato con le regioni, nonché l’integrazione con altre banche dati pubbliche relative ai finanziamenti (Ecobonus, Conto Termico, Fondi strutturali, monitoraggio scuole della Presidenza del Consiglio)”. Per sfruttare appieno il potenziale di conoscenza e messa in opera delle maggiori tecnologie, dunque, “occorrerebbe rendere strutturali azioni di miglioramento delle competenze e di informazione, stimolando la domanda e differenziando l’offerta anche in virtù delle caratteristiche climatiche, socioeconomiche e tipologiche nel territorio. La creazione di network e tavoli di discussione locali dell’Osservatorio Nzeb (già avviati in Puglia) potrebbe consentire una raccolta più puntuale dei bisogni dei diversi attori e delle informazioni su casi esemplari di realizzazione”. Inoltre, conclude lo studio, “sull’esempio di altri Paesi europei, si dovrebbero mettere a punto programmi di dimostrazione o premi per l’adozione di tecnologie diverse da quelle che si sono rivelate predominanti, soprattutto per quanto attiene la ristrutturazione degli edifici abitativi plurifamiliari e di quelli non residenziali a livello Nzeb. A  eccezione degli edifici scolastici la disponibilità dei dati su casi comprovati di ristrutturazione profonda a livello Nzeb si è rivelata, infatti, particolarmente critica. Proprio a partire dalle informazioni dei catasti Ape sarebbe necessario indagare la conformità reale degli edifici dichiarati Nzeb alle previsioni di calcolo (e giustificare eventuali divari) attraverso un maggior controllo documentale e campagne di audit mirati”. Bisogna tenere presente, quando si parla di Nzeb, che il caso italiano è del tutto singolare e tra i più rigorosi in Europa. L’energia generata da Fer, ad esempio, deve essere in situ e non entro un certo raggio dall’edificio, come previsto in altri Paesi Ue. Non solo, in Italia la percentuale di copertura dei consumi da rinnovabili rispetto all’energia primaria per climatizzazione e produzione di acqua calda sanitaria è del 50%, cioè una delle più elevate in Europa. Si tratta di parametri molto sfidanti ma che al tempo stesso testimoniano la volontà di perseguire successi maggiori. Di contro, va detto, che l’ulteriore tassello degli “edifici attivi”, cioè quelli che producono più di quanto consumino, non è previsto dalla nostra normativa nazionale, al contrario di quanto avviene in Olanda, Danimarca, Francia, Germania e Regno Unito.  Infine, rileva l’Enea, “maggiori sforzi andrebbero concentrati sull’edilizia plurifamiliare e terziaria esistente nelle città. È urgente una nuova struttura di governance che permetta il coordinamento tra diversi livelli amministrativi e un ruolo trainante degli enti locali per il raggiungimento degli obiettivi nazionali”. Le tecnologie Detto dei problemi principali e delle possibili soluzioni, è interessante vedere nel dettaglio quali siano le soluzioni tecnologiche impiegate in Italia per gli Nzeb.  Questi edifici, generalmente, hanno classe energetica A4 e la maggioranza presenta un unico impianto per la fornitura di servizi di climatizzazione invernale/estiva e la produzione di acqua calda sanitaria, come rilevato nel rapporto. “La maggior parte adotta un set ridotto di tecnologie, indipendentemente dalla zona climatica: cospicuo isolamento di involucro, pompe di calore elettriche (per lo più aria-acqua) e impianto Fv è la combinazione più frequente (60% dei casi in zona D, E ed F per edifici residenziali, 90-100% nel non residenziale). La variante è la caldaia a condensazione, anche a supporto della pompa di calore, abbinata a un impianto solare termico per la produzione di acqua calda sanitaria (40% dei casi per gli edifici residenziali). Diffuso a circa la metà dei casi residenziali l’impiego di ventilazione meccanica controllata, che è invece di norma negli Nzeb non-residenziali. Gli impianti solari termici per la produzione di acqua calda sanitaria sono presenti in circa il 10% degli edifici, con tendenza a una maggiore diffusione nel tempo. Ricorrente l’uso del legno per struttura e pareti e il ricorso a soluzioni passive”.









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