Il buonsenso (politico) contro la cocciuta ostinazione



Solo una persona può ricordare a Di Maio e, seppur in misura diversa, anche a Salvini, che per governare non servono presunzione o cocciuta ostinazione. Servono - scontato a dirsi, un po’ meno ad applicarsi - una maggioranza e magari anche un po’ di modestia. Quella che in passato ha permesso a più di un leader di fare un passo indietro affinché a governare non fosse il vincitore (parziale), ma un uomo (e mi piacerebbe scrivere o una donna, ma ancora non è successo) in grado di avere i numeri. Non in senso strettamente intellettuale; in senso banalmente matematico.

La persona che può (e deve) convincere gli aspiranti premier a mettere il destino del Paese davanti alle pur legittime aspirazioni personali, è ovviamente il presidente della Repubblica: l’uomo dal quale il Pese s’aspetta ciò che dalle urne non è emerso. Non tanto un vero vincitore, quanto un progetto di rilancio del Paese sostenuto da più di una forza politica. Di Maio è stato abile, fin da prima delle elezioni, a proporsi come premier. Al punto che molti, dimentichi del fatto che non abbia ottenuto il 40 per cento dei consensi (soglia oltre la quale scatta il premio di maggioranza), danno per scontato che sia lui a guidare un governo. Ma da solo non va da nessuna parte. E pur essendo interessante, dal punto di vista del marketing, l’idea di proporsi alla Lega (senza gli altri pezzi del centrodestra) o al Pd, come se tutti fossero intercambiabili e come se visioni opposte all’improvviso potessero almeno su alcuni punti collimare, risulta chiaro che siamo di fronte a un bluff politico. Che può logorare centrodestra e centrosinistra, ma non offrire vie d’uscita.

Visto il contesto, non sarà certo facile, per Mattarella, sbloccare la situazione trovando una figura alta e altra - gradita a Di Maio e a Salvini - in grado di ottenere il necessario consenso in Parlamento. La pericolosa alternativa sono le urne. Ma - ed ecco il pericolo - tornando a votare con la stessa legge elettorale, ci si ritroverebbe al punto di partenza. È in situazioni come queste che emerge come il passaggio dai partiti - con tutti i loro difetti - alle persone e ai “cartelli elettorali” abbia fatto venire meno i luoghi delle mediazioni, del confronto. E del buonsenso. 













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