Il quinto femminicidio in Alto Adige in otto mesi: un abisso nel quale prevale la violenza



Ancora una donna. Ancora una morte violenta. Ancora un giallo. Ancora dolore. Ancora dubbi. E un grumo di disagio e di disperazione. Sullo sfondo, nel nero del vuoto che lascia dietro di sé la morte, c’è un’unica, atroce certezza: si tratta di un femminicidio. Maria Magdalena è stata strozzata: è morta soffocata. Per le donne altoatesine, quest’anno ha il colore del sangue. Cinque di loro sono state uccise. E le statistiche non sanno dirci con precisione quante abbiano dovuto subire violenze d’altra natura. Prevaricazioni e abusi figli di una cultura malata che spesso si nasconde dietro parole che non hanno nulla a che fare con il loro significato: amicizia, amore, passione, gelosia. Parole svuotate da chi le riempie di sangue e di terrore. Da chi non sa amare o esserti davvero amico. Da chi non conosce il dizionario dei sentimenti, ma solo quello dell’aggressività. In un abisso nel quale a prevalere è solo la forza del mostro che spesso vive a pochi passi dalla donna alla quale toglie la vita. Come se quella vita non valesse nulla, in un aberrante disegno che ha percorsi sempre diversi ed epiloghi sempre identici.

Ancora non si sa chi abbia ucciso Maria Magdalena. Si indaga ai margini dell’esistenza, fra malesseri e dolori, lungo i confini non meglio definiti che spesso abitano gli ultimi. Ma il risultato finale è il medesimo di sempre: a morire, uccisa, è una donna. 













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