Il Talvera è nostro, riprendiamocelo

125194744I “Prati” sono ancora i “Prati”? Oppure sono spazi aperti che rischiano di chiudersi dentro dinamiche più grandi di loro? Perché è lì, in mezzo a quel verde esteso, troppo esteso per essere controllato, che si stanno incrociando le tensioni dell'accoglienza, il carico di arrivi che Bolzano prova a sopportare ma non ce la fa e quindi si dibatte, cerca sempre più sola soluzioni complesse per problemi complicati. Quello che è accaduto l'altro giorno testimonia una mutazione antropologica.



Bastoni, urla, regolamenti di conti tra bande di stranieri in conflitto per il controllo del territorio o per tensioni tra etnie e provenienze hanno fatto fuggire uomini e donne, bambini intenti a giocare, famiglie che pensavano che i “Prati” fossero ancora i “Prati”. Che stanno transitando dal passato a un possibile futuro che, senza risposte sociali e di ordine pubblico, non sarà piacevole. Erano uno sfogo verde, i “Prati”. Popolare e popolato, soprattutto nei fine settimana, da chi non può permettersi trasferte altrove. Ed ecco che, come nei paradigmi immigratori, le tensioni piovono tra la gente comune, quella non può essere altrove: ai “Prati” come nei condomini dell'Ipes.

Quando vedi una mamma afferrare il bambino e scappare, significa che nella tua città qualcosa non funziona. Soprattutto se accade a metà pomeriggio di un mite sabato d’ottobre, nel parco più vissuto e amato dai bolzanini.

E così l’ennesima rissa sui “Prati” pone due problemi: uno - pressante - di sicurezza, l’altro di perdita di “possesso” del proprio territorio. I “Prati” - nella loro accezione più ampia, che va oltre il Talvera e si allarga al lungo Isarco, fino e oltre Ponte Resia - sono un polmone verde, ma anche una palestra a cielo aperto per migliaia di persone.

Un’area giochi immensa per bambini e famiglie. Una passeggiata urbana che si può fare a passo di jogging, o al ritmo lento degli anziani. Oppure in bici o “trascinati” dal cane. Un posto “slow”, per decomprimersi. Un’isola tra le case, costruita intorno a un fiume. Non saremo mai troppo grati a quel grand’uomo di “Misha” Lettieri, che li ha inventati, con un’operazione di recupero urbano tra le più felici, innovative (e scopiazzate) mai realizzate in città. Un luogo, il Talvera, che, per definizione, deve essere non solo accessibile a tutti, ma anche “sicuro”.

Ora: questo posto meraviglioso (e molto amato) è in declino. I bolzanini lo stanno perdendo. Se sai che in qualunque momento qualcuno può tirare fuori un bastone o un coltello, inizi a non andarci più. Ovvio.

Bolzano fa i conti con un fenomeno epocale, che va molto al di là delle possibilità “repressive” del sindaco o del prefetto: i flussi migratori stanno cambiando la nostra società, i quartieri, e l’uso degli spazi pubblici, come i parchi.

Il Talvera è interessato da un’”occupazione” costante da molto tempo. Negli anni Cinquanta le allora “passeggiate” erano il ritrovo di una comunità italiana appena arrivata e con pochi soldi in tasca, oggi i “Prati” sono il luogo più frequentato, specialmente nel fine settimana, dalle famiglie della “nuova” immigrazione. Tanta brava gente, che non cerca, nè vuole, guai: mamme e frotte di bambini, papà premurosi, adolescenti curiosi che giocano a basket o a cricket. Ma anche, mescolati, nascosti tra le rive del greto e i ponti, bande di spacciatori e ladri, avvezzi all’uso della cinghia e della lama. O disperati “fuori quota” senza futuro. Da che mondo è mondo, i parchi, con i loro anfratti, gli alberi, i cespugli, le buche, possono diventare anche territori dell’illegalità. Lo sanno bene nelle grandi città europee o americane. Che hanno affrontato il problema molto prima di noi. Pensate a cos’era Central Park negli anni Settanta: un budello di omicidi, prostituzione e spaccio. Oggi è un’attrattiva turistica da milioni di visitatori, dove non sparisce neanche un nichelino. Come hanno fatto i newyorkesi, ora, fatte le debite proporzioni, tocca ai bolzanini riprendersi il loro parco. Come? La risposta non può essere solo “militare”, ma un mix tra maggiori controlli, più servizi per i cittadini, e iniziative culturali che rendano il “polmone” più “vitale” e ben frequentato.

Gli interventi. Al netto del problema immigrazione, che è planetario, è chiaro che con alcuni interventi mirati qualcosa si può migliorare. In primis, la sicurezza. Molte città nel mondo hanno un corpo di polizia locale che si occupa delle aree verdi. Perché non creare a questo scopo un nucleo apposito dei vigili urbani? E poi sicuramente le telecamere, che hanno un forte effetto deterrente. Il controllo costante del greto del fiume, che è fonte permanente di illegalità. L’accesso solo con i documenti a playground e campetti come lo skatepark vicino al bar Sant’Antonio. Bisogna poi rafforzare i servizi agli utenti. Possibile che sui “Prati” non esistano dei bagni pubblici e dei “punti mamma” per cambiare i pannolini? O che i cestini siano così pochi, che nel fine settimana tutta la passeggiata diventa un immondezzaio? E cosa ci vuole a mettere dei bidoni per la raccolta differenziata? E ancora: perché non potenziare le aree per i pic-nic, con tavoli, panche e magari anche barbecue, come si possono trovare in molte vallate dell’Alto Adige?

Diamo poi la possibilità a imprese o cooperative di giovani di aprire chioschi, piccoli bar, o truck food, in modo che diventi piacevole fermarsi a mangiare o bere qualcosa. Apriamo l’arena nella zona ex orso Pippo per spettacoli e musica, invitiamo le associazioni culturali e sportive a riempire gli spazi con idee ed eventi.

E gli artisti a fare delle installazioni. Certo, una riqualificazione di questo tipo ha dei costi, e non può essere solo a carico dell’ente pubblico.  A New York hanno recuperato la linea ferroviaria in disuso che portava al macello di Manhattan, trasformandola in un parco pensile, la Highline, che oggi è una delle principali attrazioni botaniche e culturali della Grande Mela. Cinquanta milioni di dollari ce li mise il sindaco Bloomberg, gli altri furono raccolti dai cittadini. Oggi il parco è gestito da una fondazione, e accanto ai giardinieri e botanici professionisti, ci sono i volontari che lo perlustrano, controllano le piante, e ti riprendono se butti una carta per terra. Perché il parco è loro. Come il Talvera è nostro.













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