la liberazione

«Io, brigante della libertà così ho combattuto i nazisti»

Contadino e partigiano, il ricordo di Ubaldo Natale. Partito dall'Abruzzo per liberare l'Italia


di Luca Fregona


Ubaldo Natale, partigiano della Brigata Maiella è morto a Bolzano nel 2008. Questa è la sua storia, l'articolo è del 2005.

BOLZANO. «Vedi questo qui, seduto per terra col mitragliatore tra le gambe? Beh, sono io. Avevo 20 anni...». Ubaldo Natale punta il dito sulla foto. Oggi di anni ne ha 81. Croce al merito di guerra per attività partigiana. Contadino e partigiano nella Brigata Maiella in Abruzzo, dove è nato. Poi minatore in Francia per sfuggire alla miseria. Poi operaio edile a Bolzano, dove è venuto a vivere nel 1954 con la moglie Marina, e oggi ha due figli e due nipotini.

Mani callose. Spalle larghe. Cuore generoso. Ha taciuto la sua storia per 60 anni. «Avevo altro a cui pensare - taglia corto -: lavorare e far crescere i miei figli». In casa solo pochi cenni vaghi. Fino a qualche settimana fa, quando in libreria esce un saggio della Utet sulla storia della Brigata Maiella («I banditi della libertà», di Marco Patricelli). Il figlio Stefano, incuriosito, scopre che sulla copertina c'è proprio lui, Ubaldo. Faccia da ragazzino e il mitragliatore browning tra le gambe. «Noi lo chiamavamo il brauninghe». Ubaldo Natale stappa una bottiglia di Montepulciano nel salotto della sua casa di via Genova, versa il vino, offre le ferratelle, i dolcetti abruzzesi fatti dalla moglie. «Mi ricordo benissimo quando è stata scattata quella foto - attacca -. Eravamo a Belforte, vicino a Macerata...». Tira fuori le sue, di foto, custodite per anni in un cassetto. Tenute come reliquie. Perfette. Il brauninghe sempre a portata di mano. Dopo 60 anni, Ubaldo Natale apre la diga e comincia a raccontare la sua storia. Che poi è quella dei partigiani atipici della «Maiella». Anti-eroi. Antifascisti d'istinto. Fuori dai partiti. Portavono divise inglesi senza stellette regie.

«Ci siamo rifiutati di giurare ai Savoia. Solo le mostrine tricolori e l'immagine della Maiella sul braccio sinistro. La montagna sotto la neve. La "nostra" montagna». Una brigata di contadini, che rispondeva agli inglesi della Ottava Armata. In prima linea dal dicembre del 1943 all'aprile del '45. E che con gli inglesi è salita a nord, fino ad Asiago, liberando le Marche, Bologna, e il Veneto. Figli di una terra povera. Gente scolpita nella pietra, che dopo la liberazione non ha "capitalizzato" la Resistenza, non ha sfruttato la gloria, ma è partita per l'emigrazione. «Perché sono andato coi partigiani - continua -? Per cacciare i tedeschi dai nostri paesi. I tedeschi avevano ucciso, violentato, raso al suolo le case. Un motivo più che sufficiente per combattere, no? Abbiamo preso il mitra e non ci siamo più fermati. Nessuno di noi è scappato. Nessun disertore nella Maiella...».Ubaldo Natale è entrato nella brigata ai primi di gennaio del 1944. «L'8 settembre ero militare in Friuli. Sono tornato in Abruzzo a piedi. Mi sono presentato al comando della "Maiella". Mi hanno dato una divisa invernale e il browning». Lo fanno subito caposquadra. «Avevo il grado di sergente. Eravamo una banda di ragazzi. Tutti classe '24 e '25. Tutti di Taranta Peligna, il mio paese. Ci chiamavano "i briganti della libertà"».

Ubaldo Natale è il terzo da destra accucciato

I ricordi escono piano. «Il primo giorno da partigiano mi hanno mandato in ronda esplorativa con due inglesi. Dovevamo guardare i movimenti nell'altra parte della vallata, in mano ai tedeschi. Era notte. Ci muovevamo in mezzo alla neve. Avevo paura. Non ero pratico a sparare. Ho pregato perché i tedeschi non ci vedessero. Eravamo vicini. Vicinissimi. Li sentivo respirare. Li sfioravo. Li annusavo. Ci nascondevamo nel bosco, nelle buche, nei cespugli. Siamo rientrati al reparto alle 5 di mattina. Neanche il tempo di riferire cosa avevamo visto, che siamo dovuti tornare indietro. Questa volta a sparargli sul serio». Silenzio. «Andava sempre così. Gli inglesi ci mandavano avanti a vedere dove stavano i nazisti. Poi dovevamo ritornarci coi polacchi e gli indiani, a sparare. Conoscevo ogni palmo del bosco, ogni sentiero, ogni albero, ogni pozza d'acqua. Abbiamo liberato la nostra valle casa per casa. L'abbiamo liberata noi abruzzesi». Ancora silenzio. «Ho perso tanti amici. Quando un compagno moriva, non guardavo. Tiravo avanti. La morte così vicina ti fa impazzire». I partigiani della Brigata Maiella avevano l'ordine categorico di non uccidere i tedeschi catturati. Li consegnavano agli inglesi. «La "Maiella" non ha mai giustiziato nessuno. Niente processi sommari. Il nostro comandante era Domenico Troilo, aveva 22 anni. I tedeschi, per rappresaglia, gli avevano ammazzato la madre con una mitragliata in faccia e poi minato la casa. Avrebbe potuto vendicarsi centinaia di volte, ma non lo ha fatto. Nè ha permesso che lo facessimo noi al posto suo». Pausa. «Una volta ero di pattuglia. Ho visto due tedeschi che facevano il bagno nell'Aventino assieme a due ragazze nostre. Li avevo tutti nel mirino, ma non ho avuto la forza di sparare. Sono tornato indietro e ho detto che non avevo visto niente...».

Liberato l'Abruzzo, alla "Maiella" viene ordinato di andare avanti, di spingere verso Nord. «Io facevo parte della terza compagnia. Siamo arrivati ad Asiago prima di tutti. Quando abbiamo liberato Sulmona ai balconi c'erano le bandiere americane. Aspettavano gli americani, e invece è arrivata la Maiella. Ci siamo fatti delle grandi risate. I ricordi più belli sono quando liberavamo i paesi. La gente scendeva in strada. Si ballava. Le ragazze ci guardavano da eroi. Ci davano da mangiare, ci indicavano le strade, ci dicevano dove stavano i tedeschi. In Abruzzo le donne sono state fondamentali. Ci aiutavano nella lotta partigiana, ricaricavano pure le armi». La moglie Marina, accanto, annuisce. Anche suo fratello era partigiano nella Maiella. Negli ultimi mesi di guerra la brigata raggiunge i 1.500 effettivi. «Si arruolavano anche tanti ex-repubblichini. Ma noi non ci fidavamo. Non li facevamo combattere, non gli davamo i fucili. Li mettavamo di corvè cucina. Era un ordine di Trolio. "A quelli fategli pelare le patate". Il 21 aprile del '45 siamo entrati a Bologna per primi. Noi e i polacchi. Nessuno sparava più. La guerra era finita». Poche settimane dopo, Natale torna a casa, in Abruzzo. «La brigata è stata sciolta. Ci siamo riuniti per l'ultima volta, poi ognuno di noi è partito in cerca di lavoro. Io in Francia, in miniera. Gli altri in Australia o in America».

Ultimo sorso di Montepulciano. Il racconto è finito. «Al paese non torno più. La mia vita ormai è qui, a Bolzano, con i miei figli. Sono orgoglioso di quello che ho fatto. Io ho combattuto per un Italia migliore. Lavoro e pace, sono i valori che contano. Due cose bellissime. Le uniche importanti».













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