L'esercito dei candidati (in Trentino) ai tempi della mediocrazia



Ne scrive il filosofo canadese Alain Deneault. Ne hanno parlato undici anni fa Andrea Mattozzi e Antonio Merlo. E il tema spuntò già nel Settecento. Parlo della mediocrazia. Che appiattisce tutto e che fa persino confondere l’élite - necessaria per far progredire un Paese, come la storia insegna - con la casta, che di qualsiasi crescita è invece quasi sempre la zavorra. Come se pensare e avere un’opinione, magari diversa da quella della pancia del Paese, fosse una colpa. Come se avere delle idee significasse appartenere alla consorteria politica ingorda e autoreferenziale, come ha scritto uno che di casta se ne intende (Sergio Rizzo).

La classe dirigente non c’è più. I leader sono stati abbattuti dalla storia, dagli elettori e anche da molti errori: perché, anche a queste latitudini, troppe volte fra fedeltà e autorevolezza s’è scelta senza indugio la prima. Il tema, sia chiaro, è generale. Ma diventa locale quando, come accade in queste ore, in Trentino si scontrano due verità solo in apparente contraddizione. La prima: i partiti, per loro stessa ammissione, faticano a trovare candidati di livello per le elezioni provinciali, stentano insomma ad individuare una potenziale classe di governo. E qui spunta la seconda verità: di candidati se ne trovano però oltre 700 e a correre per la presidenza della Provincia si presentano in undici. Giuro.

È lecito porsi qualche domanda sul meccanismo della selezione che ha portato alla formazione delle liste? Ci sono molte donne. Bello, ma ad imporlo è la legge. Peraltro solo uno schieramento (la sinistra per così dire estrema) punta su una possibile presidente donna: Antonella Valer. Gli altri dieci se ne guardano bene. Scorrendo i loro nomi, si scopre che le novità sostanziali non esistono. Fugatti, Tonini e Rossi sono nella categoria degli usati sicuri. E tali sono, pur con storie ed età diverse alle spalle, anche De Laurentis e Ottobre. Degasperi fa storia a sé: come noto il Movimento 5stelle crede nella rete più che in reali meccanismi di selezione del personale politico. A Primon e Chenetti va fatta solo una domanda: che senso ha la vostra candidatura? D’eccesso di democrazia si può morire. Le candidature di Monegaglia e Castaldini sono pura testimonianza. E che CasaPound metta anche qui radici sempre più profonde, alla faccia della Costituzione, non è proprio un gran segnale. 

Fra gli oltre 700 candidati ci sono anche delle punte, ovviamente, ma i mediani sono molti. E chi ha cercato di fare qualcosa di diverso è stato considerato un oggetto - non volante, ma pericoloso - non identificato. Spero solo che gli undici che sognano di fare il presidente e gli oltre 700 che cercano un posto in consiglio sappiano che i prossimi saranno anni difficili: i soldi calano e nell’era del sovranismo imperante difendere e rilanciare l’autonomia sarà arduo. Il che rende ancora più urgente - per non dire drammatico - il tema di una nuova classe dirigente. Che non c’è quasi più e che, quando e se c’è, viene vista come fumo negli occhi.













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