La brutale rapina a casa del generale Bosin, il silenzio e la paura



Bolzano non è abituata. Da queste parti non si ha memoria di un fatto come quello di via Guncina: due banditi con casco integrale che prima pedinano, poi sequestrano e infine rapinano due persone come noi. Non dei milionari, non delle persone che danno l’impressione di avere chissà quanti denari. Se hanno una ricchezza, l’ex generale Bosin e sua moglie Licia, si tratta di una ricchezza morale: fatta di valori, di disciplina, di spirito di servizio, di attenzione al prossimo, di impegno e di solidarietà. Merce che non si ruba. E che, se anche si potesse rubare, non si smercia: perché non va più di moda. È brutto dirlo. Ed è brutto che qualcuno, in un mondo politico che dovrebbe invece trovare nuovi modi per rapportarsi con la città e con i cittadini, cavalchi la cosa già guardando alle prossime elezioni. Ma è un fatto: quella rapina poteva colpire qualsiasi cittadino di Bolzano. E non consola pensare che i criminali, per errore, pensassero probabilmente che il generale Bosin tenesse a casa gli incassi della pista zero. Consola ancora meno, però, il fatto che l’uscita della notizia abbia dato un certo fastidio a chi - a vario titolo - deve occuparsi delle indagini.

Non so e non voglio nemmeno sapere se sia partito un ordine dall’alto per cercare di non fare arrivare notizie come queste ai giornali. Ma so che le rapine non calano se i giornali non ne scrivono. Magari fosse così! Il nostro silenzio potrebbe forse cambiare la percezione dei cittadini, ma non alterare o edulcorare realmente la verità.

Noi abbiamo piena fiducia nella procura, nelle forze dell’ordine, in quanti ogni giorno lavorano per proteggerci. Ma siamo convinti che i cittadini debbano sapere. Anche perché la consapevolezza può rendere tutti più attenti, più disponibili a chiamare polizia o carabinieri se vedono o immaginano qualcosa di strano.

Bolzano non si merita silenzio. Ha bisogno di sapere e di trovare risposte adeguate. Servono nuove leggi: fatte non per svuotare le carceri, ma per farci stare più sereni sapendo che chi ci deruba, chi ci impaurisce, chi all’improvviso ci cambia il modo di vivere, poi in carcere ci va davvero. E serve fiducia. In chi indaga e in chi racconta ciò che accade. 













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