La toponomastica, una ferita (sempre) aperta



Inutile negarlo: la toponomastica, in questa terra che fatica a parlare un linguaggio comune, è ancora una ferita aperta. A rimarginarla in parte, per paradosso, è stato il buonsenso, che spesso è più forte delle leggi. Ogni volta che s’è cercata un’intesa passando i nomi italiani, tedeschi e ladini al setaccio di una legge, s’è infatti ottenuto il risultato opposto: scontri e incomprensioni. E provocazioni. Come quella di venerdì, quando gli Schützen sono scesi in campo all’alba per modificare 600 cartelli. Non, come ci si poteva aspettare, coprendo i nomi italiani oggettivamente imposti da Tolomei e dal fascismo, ma oscurando invece i toponimi tedeschi e ladini. Con una scritta che si presta a più interpretazioni: «DNA-SEIT 97J» (Deutsch nicht amlitch seit 87 Jahren). Traduzione: il tedesco non è più ufficiale da 97 anni. Ma il richiamo al Dna - a maggior ragione in un’epoca come quella che stiamo vivendo - si può considerare casuale? Difficile.

Il punto non è però questo. Il punto è infatti dove si vuole arrivare. E come ci si vuole arrivare. Talvolta, il percorso conta infatti più del traguardo. Se a una politica che fatica ad arrivare a una soluzione e che ha trovato nel rinvio una sorta di accettabile compromesso temporaneo, si contrappongono i muscoli di chi, in poche ore, può cambiare 600 cartelli, il sentiero si fa stretto. Rischiando di trasformarsi ancora una volta in bivio: noi di qua (e poco conta che dentro il “noi” si ritrovino i tedeschi o gli italiani), voi di là. «È il collasso - per usare una frase profetica di Toni Morrison, premio Nobel scomparsa da un pugno di giorni - dell’idea di un mondo condivisibile. Il problema dell’apartheid culturale e/o dell’integrazione culturale - scriveva ancora la grande narratrice afroamericana - è centrale per tutti i governi». Toni Morrison si riferiva all’esodo, ma anche allo spodestamento, al «processo di alienante demonizzazione dell’Altro».

È di questo che ha bisogno l’Alto Adige/Südtirol nel 2019? No, ha bisogno appunto di idee capaci di costruire un piccolo grande mondo finalmente condivisibile. Ha ragione l’assessore provinciale leghista Bessone ad invitare ad andare avanti e non indietro. La toponomastica è da sempre uno sguardo che rischia di riempirsi di nostalgia, di passato, di incomprensioni. O la si guarda pensando alla ricerca di un compromesso che scontenterà inevitabilmente tutte le parti, per far fare però ad ogni gruppo etnico un passo avanti, o la si considera un derby dal quale può uscire solo un vincitore. Gli Schützen, con una strategia curiosa, puntano al derby. La politica deve spegnere ogni fuoco e costruire nuova diplomazia, nuovo confronto, nuova condivisione. Soprattutto, nuova convivenza. Non c’è altro modo per puntare alla vittoria di tutti e alla sconfitta di nessuno.













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Valeria Frangipane

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