Un ordigno vigliacco nel Trentino che già accorre in soccorso del vincitore



Non è con una bomba carta che si cambia la politica. La violenza stupida andata in scena l’altra notte ad Ala, davanti alla sede della Lega, è la peggior complice che si possa avere accanto nella settimana che porta al voto. 

Un attentato contro Salvini (che in queste ore, fra un selfie e un sorriso, è stato letteralmente travolto da molti trentini) o un gesto prepotente contro qualsiasi altra forza politica non fa bene alla comunità, non fa bene alla politica, non fa bene alla democrazia e alla libertà.

Per paradosso, la bomba non aiuta nemmeno chi ancora crede nel dissenso e nella diversità - sempre utile - di idee e di opinioni. Perché rafforza chi subisce il vile attacco e indebolisce e allontana ancor di più quel pezzo di società che ha invece bisogno di dialogo: per farsi ascoltare, per ritrovare il significato della parola inclusione. Non solo: la bomba carta evoca antichi fantasmi e porta il Trentino sulla scena nazionale nel modo peggiore possibile. Facendolo apparire - proprio nei giorni in cui l’attenzione del resto del Paese si sposta in questi luoghi, nelle ore in cui vari leader vengono qui a spingere e sostenere i loro candidati - per quello che non è: una terra litigiosa, una anomala capitale dell’anarchia e della brutalità.

La libertà d’espressione, la capacità e anche la possibilità di dire e pensare cose molto diverse fra loro, è l’unica cosa che le bombe mandano davvero in frantumi. Alzare il livello dello scontro trasforma unicamente la speranza in paura. Producendo ulteriori macerie su un terreno che per diverse ragioni interne ed esterne è già instabile. Nell’epoca dei grandi cambiamenti, dei sovranismi e delle emozioni facili, non servono prove di forza: servono confronto, dialettica e politica, appunto.

Va anche detta una cosa, a chi getta bombe nascondendosi nella notte. In Trentino sta già cambiando tutto. Vuoi per un’anomalia nostrana: gli italiani - come scriveva Ennio Flaiano - sono sempre pronti a correre in soccorso del vincitore. E già si vedono, nei luoghi che contano, piroette degne di Carolina Kostner. Vuoi perché l’aria (di cambiamento) non si ferma. Pochi esempi diversissimi fra loro: la nomina di Geremia Gios alla presidenza della Cassa rurale di Rovereto; l’arrivo di Marina Mattarei alla presidenza della Cooperazione trentina, la promozione ai vertici della Cavit di Lorenzo Libera, con la bocciatura - inattesa, dopo un mandato di impegno all’apparenza condiviso - di Bruno Lutterotti. 

Se dieci anni fa vi avessero messo in fila queste e altre meno note rivoluzioni (preferite rovesciamenti?) non ci avreste creduto. Ma sbaglia chi pensa che ogni cosa sia figlia di un certo grillismo, di un certo leghismo, del 4 marzo o di chissà quale trama. È il Paese a produrre il grillismo, il leghismo e il 4 marzo, non viceversa. Il desiderio di cambiamento, la voglia di sovvertire le cose, cercando altre vie, preferendo anche palesi illusioni e salti nel buio a minestre che all’improvviso sembrano riscaldate anche quando sono sul fuoco da tre minuti, ha radici lontane. Risale al 1992, a Tangentopoli, alla fine dei partiti e delle ideologie, a un’Italia, un’Europa e un mondo che (seppur con tempi di metabolizzazione diversi) non ci sono più, anche se molti tendono a leggere ogni cosa con le lenti di quel tempo lontano.

L’unica è godersi il festival dello sport: è la faccia del Trentino migliore, il volto di una terra che riesce sempre a stupire, ad accogliere, a diventare per qualche giorno il centro - bello, pieno di idee e di energia - del mondo. 

 













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