BOLZANO

Viva i buoni. Migranti, anziani, badanti: in 250 al pranzo di pasqua offerto dai volontari 

Nessuno escluso. L’impegno dei volontari della San Vincenzo di Bolzano: «Non importa da dove vieni, noi ti aiutiamo»


Luca Fregona


Bolzano. Ci sono i profughi appena arrivati. Ragazzi neri con la faccia da bambino, sopravvissuti ai barconi. E i richiedenti asilo, i clandestini nascosti alla legge. Nigeriani, gambiani, siriani. Qualche piccolo spacciatore magrebino. E le donne rom che chiedono l’elemosina in via Museo. Quelle che nessuno sopporta, che scansi come la peste appena ti bloccano con la stampella. E poi i vecchi del centro storico: bolzanini doc, italiani e tedeschi. Vengono qui tutti i giorni perché il pasto è caldo, costa poco e non si è soli. Ci sono le famiglie che non arrivano a fine mese: casa Ipes ma niente in tasca. E le badanti. Romene, moldave, ucraine. Sì, anche loro, perché quando ti muore il nonno che accudisci, torni per strada in attesa che un’altra famiglia ti chiami. Ci sono i giovani deragliati: i tossici, gli scoppiati, i solitari. Quelli che non ce la fanno, in fuga dai genitori e dalle aspettative deluse. E i senzatetto. Barboni irriducibili, almeno una settantina, che non vogliono sentir parlare di dormitori e centri d’accoglienza, ma che vengono perché qui nessuno chiede loro niente.

C’è Mamadou storico “vucumprà” del centro, che alterna il mercatino di Natale alla raccolta pomodori in Calabria. Sei mesi a Bolzano e sei mesi giù. Dorme a Brescia in una roulotte e ogni giorno arriva in treno carico di accendini e ciondoli. Sono anni che non torna dalla famiglia in Senegal.

E poi c’è Maggie, piccola piccola nel suo piumino verde, con il cappello di lana rossa schiacciato sui capelli crespi. È arrivata anni fa da Santo Domingo. Passa le giornate a studiare biologia alla biblioteca dell’Università. Le notti rintanata nel suo nascondiglio in strada. Tra le mani stringe un ramo d’ulivo.

È la domenica delle Palme. Quante storie si mescolano qua dentro. In questa mensa dei poveri, la Clab, a due passi dalla stazione. Tra il bar Miami, dove si trascinano migranti senza un presente, e il futuro radioso del Waltherpark targato Benko.

I santi laici

Qui nessuno è escluso, nessuno viene giudicato per quello che è o ha fatto. La San Vincenzo, italiana e tedesca, e le Suore della Carità offrono il pranzo di Pasqua. Lasagne alle verdure e arrosto di tacchino. Acqua, vino e dolce preparato dalle signore delle parrocchie. Una ventina di volontari servono ai tavoli e in cucina. Apparecchiano e sparecchiano. Chiedono se vuoi ancora qualcosa o portare via gli avanzi. Sono i santi e le sante che resistono alla deriva dell’Italia aggressiva e rabbiosa.

Santi laici come Roberto Santimaria, anima della San Vincenza italiana, 24 ore al giorno in strada, 365 giorni all’anno. «Oggi è un giorno di festa - dice agli ospiti -. Vi abbiamo voluto tutti qui per dirvi che per voi ci siamo sempre. Non importa da dove venite, tutti abbiamo lo stesso diritto di vivere qui in pace e con uguali opportunità». Applausi. La sala è piena. Oltre 250 persone alla fine del pasto. Giovani e vecchi, uomini e donne. Cattolici, mussulmani, ortodossi. Africani, arabi, slavi, italiani. Gianni Bonadio li conosce uno per uno. Ogni storia, ogni volto. Per tutta la vita ha gestito un banco di frutta di piazza delle Erbe. Da quando è in pensione dedica parte del tempo al volontariato. È arrivato dalla Calabria a Bolzano che era bambino. Sa cosa significa essere “migranti”. «Noi non facciamo differenze - dice -. Basta fare un giro qui dentro per vedere quanto la povertà sia diffusa e trasversale. E quanti bolzanini ci sono...». I ragazzi delle scuole dovrebbero passare qualche ora in settimana a distribuire pranzi e cene alle mense dei poveri. A toccare con mano. A prendere contatto con le storie vere delle persone, invece di guardare il mondo filtrato da un tweet.

Buoni ma non buonisti

Don Giorgio Gallina, salesiano, 20 anni di missione in Ciad, oggi parroco del carcere di Bolzano, porge i piatti. «Questa giornata è importante - dice -, il senso è condividere, sottolineare quello che unisce e non quello che divide. Comprensione e pace sono alla base di ogni umanesimo. La persona va sempre rispettata. Viviamo in una società diventata aggressiva, dove l’odio vince su empatia e comprensione. E il cattivo esempio arriva anche dalla politica che usa toni sempre più divisivi». Non bisogna più vergognarsi di essere “buoni”, don Giorgio? «Buoni sì, buonisti no - risponde secco -. Il buonismo stupido è controproducente. I problemi ci sono e vanno affrontati. Fare del bene richiede invece intelligenza. Molte delle persone che vedi hanno bisogno di trovare una situazione di vita diversa. Un lavoro, una casa, dignità...». O resteranno nel limbo dell’insicurezza che genera diffidenza e paura. «In carcere sono a contatto tutti i giorni con gente che si è macchiata anche di crimini orribili. Queste persone devono assumersi la responsabilità di quello che hanno fatto, ma va data loro una speranza. E questa speranza esige che trovino la forza di tagliare con certi giri o dipendenze. Solo così poi si può guardare avanti. Bisogna “allenarsi” ad una vita diversa».

È un volontariato, questo, che definire “cattolico” è riduttivo. È impegno civile e, senza dubbio, politico. Il governo chiude i porti? Loro aprono le mense e il cuore, sfamano, distribuiscono generi di prima necessità, piccoli aiuti economici, aiutano a trovare una casa e un lavoro, a fare il permesso di soggiorno o chiedere la residenza. E anche se non ce la fai, se sei un eterno sconfitto, sono sempre lì. Roberto Santimaria coccola le mendicanti rom. «Ancora un po’ di dolce? Vi porto l’acqua? Hai bisogno di qualcosa?». C’è chi dice che è troppo buono. Che aiuta anche chi non se lo merita o se ne approfitta. Lui risponde sempre nello stesso modo. Con una domanda: «Io chi sono per giudicare?».

E va a pulire i tavoli con il Cif.













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