A 100 anni suonati si fa l’abbonamento al nostro giornale

Tiziano Albino Vettori fu tra i primi barbieri italiani in città Si salvò dal fronte perché i nazisti apprezzavano i suoi tagli


di Davide Pasquali


BOLZANO. Il figlio Giancarlo, ormai non più giovincello nemmeno lui, non ce la faceva davvero più, tutte le sante mattine, a portargli il giornale alla casa di riposo Don Bosco. Presto, praticamente all’alba. Così Tiziano (Albino) Vettori ora s’è fatto l’abbonamento all’Alto Adige. A 100 anni suonati. Questa, però, è solo una scusa per raccontarvi la storia di un bolzanino che ne ha viste tante.

Tiziano è nato a Spresiano (Treviso) nell’autunno del 1914, quando da poche settimane tuonavano i cannoni della Grande guerra, conclusasi, dopo la rotta di Caporetto, a pochissima distanza da casa sua, con le battaglie del Piave. Nel suo paese, a 14 anni, va a bottega come barbiere. «Poi, a 18 anni sono andato a professionalizzarmi a Treviso. Prendevo 5 lire al giorno, ma mi fregavano le mance». Tiziano, lucidissimo, ha una memoria strepitosa, specie per i numeri.

«A Bolzano c’era mio cugino, comandante dei vigili urbani. Mio padre lo invitò per Natale. A pranzo mi chiese: vuoi venire a Bolzano? Risposi: basta che mi paghino bene... Era il 1933».

Inizia in viale Venezia, vicino al tabacchino. «C’erano due vecchie poltrone. Mi pagavano 22 lire al giorno, ma campavo con le mance; buone, perché ero il primo barbiere italiano della città. Andavo a pranzo alla trattoria Veneziana, dove però alla sera non mi aspettavano: finivo sempre alle 8 e mezzo passate. Mio fratello, operaio in Comune, era più fortunato, perché finiva presto. A quei tempi per me non c’erano mica orari. Allora, a un certo punto cominciai ad andare a cena alla trattoria Druso, poco prima del ponte. Pagavo sì 4 lire e 50, ma mi aspettavano anche fino alle 9!». Nel 1938 il salto. «Aprii il primo salone con le poltrone moderne, di fronte ai carabinieri. Il primo giorno, era un venerdì, incassai 90 lire. Il sabato ne feci 170. E da lì cominciai a ripagare le cambiali: 12 mila lire». Dopo l’8 settembre 1943 avrebbe dovuto essere arruolato nella Flak, la contraerea nazista. «Ma la sera prima un brigadiere, che conosceva mio cugino il comandante, venne ad avvertirmi: guarda che domattina ti porto la cartolina... E allora, chiusi bottega, montai su un camion e scappai in Veneto, al paese di mia moglie. A novembre venne a prendermi mio cognato, che lavorava alla Lancia. Tornammo su con la tradotta. Arrivato alle caserme Huber, dove c’era l’ospedale militare, trovai un maresciallo. Non ho i documenti, dissi. Fa lo stesso, mi rispose, firmando un foglio dove c’era scritto che per nessun motivo dovevano requisirmi. Il mestiere m’ha salvato». Finita la guerra, tagliò i capelli pure agli americani, che per ringraziarlo gli regalarono 20 chili di zucchero, per farci le pappe al figlio. Maestro artigiano nel 1960 «per aver tirato su quattro apprendisti», tenne aperto il salone fino al 1972. Poi, dieci anni alla barberia dell’Arma, dall’altra parte della strada. «Mi portavano sempre a Selva Gardena, al centro di addestramento. Ho tagliato i capelli anche ad Alberto Tomba».

Poi la pensione e i viaggi assieme alla moglie Ada. Che 18 anni fa, malata, entrò alla casa di riposo, dove lui la seguì per starle accanto. Tiziano ha due figli, uno già direttore generale della banca Calderari, l’altro perito industriale, che ha lavorato in Bugatti. Quanti nipoti? «Eh, ormai sono in arrivo i trisnipoti!» Ma qual è il suo segreto? «Niente fumo, niente vino e niente donne». Ma il figlio Giancarlo, accanto a lui, ride. Pare non sia stato proprio così... Un suo rammarico è che il nipote prediletto, Andrea, alto funzionario Ue nel settore Ambiente, non abbia potuto portarsi a Bruxelles la prima delle tantissime coppe - «oltre a 13 medaglie d’oro» - vinte dal nonno nei tornei di bocce, dove si distingueva come puntista. «Gliel’ho regalata, ma non gliel’hanno mica fatta portare in aereo...»













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