l’inchiesta

Bolzano: il gruppo jihadista organizzava corsi di odio per bambini

In casa ai propri figli alcuni indagati mostravano le immagini di esecuzioni e decapitazioni. Esempi da seguire da adulti


di Mario Bertoldi


BOLZANO. Un orrore. Dalle 1217 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal Gip di Roma a carico dei componenti della presunta cellula jihadista con base a Merano, emergono realtà sconvolgenti. E’ facile, ma avulso dalla realtà, disquisire sulla rilevanza penale di determinate condotte. Dalle intercettazioni ambientali e telematiche riportate nei faldoni dell’inchiesta emerge che in riva al Passirio il gruppo jihadista aveva messo in piedi una vera e propria scuola di odio. Una intercettazione riguarda l’abitazione di Jalal Saman Hasan, iracheno curdo di 36 anni, domiciliato a Bolzano. La scuola d’ odio era stata organizzata per abituare i figli degli adepti a odiare e ad uccidere. Ai bambini e ai ragazzini venivano infatti impartite lezioni di come si uccide un “infedele”. Secondo quanto riportato nelle carte dell’inchiesta, ai piccoli sarebbero state mostrate anche immagini terribili di esecuzioni e decapitazioni operate dai carnefici dell’Isis, con l’indicazione di come, da adulti, avrebbero dovuto comportarsi per essere degni promotori della Jihad. Si può parlare di semplice fanatismo religioso? La Procura della Repubblica di Roma ed anche il Gip della capitale hanno ritenuto di no. La Procura di Trento, a cui gli incartamenti sono stati inviati per competenza territoriale, è arrivata a conclusioni diverse, almeno per quanto riguarda la posizione di sette dei 17 indagati per i quali non è stata neppure richieste la conferma della custodia cautelare in carcere. La diversa valutazione delle due Procure lascia sconcertati se si pensa, ad esempio, che dalle carte dell’inchiesta (curata per quattro anni e mezzo dai migliori uomini dell’antiterrorismo dei Carabinieri dei Ros) risulta che uno dei due scarcerati dai magistrati di Trento fosse stato addirittura inviato a Merano dalla Germania (dall’organizzazione terroristica internazionale “Rawti Shax”) per rendere operativa la cellula altoatesina cresciuta in silenzio nella quiete di Merano. Secondo gli investigatori vi sarebbero state vere e proprie lezioni operative per organizzazioni di attentati che non avrebbero dovuto riguardare l’Alto Adige e l’Italia ma il resto d’Europa e soprattutto la Norvegia ove il gruppo si era messo in testa di ottenere in qualche maniera la liberazione del mullah Krekar. A tal proposito nell’inchiesta emergerebbe anche che uno dei principali indagati (Abdul Rahman Nauroz) avrebbe affettuato un viaggio a scopo organizzativo proprio in Norvegia per prendere contatti con altri membri dell’organizzazione terroristica. Che la situazione fosse decisamente allarmante sotto il presunto profilo terroristico del gruppo sarebbe dimostrato anche dalla decisione delle autorità norvegesi di autorizzare gli investigatori italiani ad intercettare in carcere il mullah Krekar per oltre un anno. Secondo gli inquirenti romani in più occasioni le intercettazioni avrebbero evidenziato palesi contatti con le centrali del terrore a livello internazionale. In diversi, tra coloro che sono finiti sul registro degli indagati, avrebbero più volte espresso la volontà di partire dall’Alto Adige per partecipare ad azioni terroristiche sul campo o per recarsi a combattere per il Califfo in Siria o in Iraq. Con l’intenzione poi di rientrare a Merano e fungere da esempio per altri reclutamenti tra gli ambienti islamici più radicali. Nell’inchiesta emergerebbero diverse occasioni in cui gli aderenti alla presunta cellula jihadista avrebbero festeggiato in presenza di notizie riguardanti iniziative dell’Isis tra cui anche la decapitazione del giornalista americano James Foley.

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