Con Arendt un passo verso la convivenza 

Ieri si è illuminata la scritta. Kompatscher: «Una cerimonia democratica» Caramaschi: senza pace non c’è progresso. Entusiasta il vescovo Muser


di Francesca Gonzato


BOLZANO. Sotto gli ombrelli, ognuno ha preso posto dove ha voluto, vicino a chi ha incontrato. I politici mescolati ai cittadini di Bolzano, chi entusiasta, «un esempio europeo», chi con l’idea che «è un compromesso, un primo passo», no «è troppo». E a sorpresa Bolzano ha risposto. Trecento bolzanini sono usciti di casa ieri pomeriggio sotto la pioggia per partecipare alla cerimonia di inaugurazione della scritta luminosa, che attraversa tutto il fregio di Mussolini a cavallo sulla facciata del palazzo degli uffici finanziari in piazza Tribunale. Una giornata importante. Non condivisa da tutti, con critiche della destra italiana e tedesca, dai poli opposti, e qualche malumore anche in casa Svp.

Bolzano alle 17 di ieri ha fatto i conti con il proprio passato fascista, rielaborandolo senza cancellarne i segni. «Nessuno ha il diritto di obbedire», le parole della filosofa ebrea Hannah Arendt campeggiano ora in tre lingue sopra il bassorilievo scolpito da Hans Piffrader. Ogni sera verranno illuminate, per contraddire l’ordine mussoliniano «credere, obbedire, combattere» inciso sul palazzo.

La cerimonia è stata breve, volutamente sobria. Nessun discorso, solo tre letture affidate a studenti. In ladino un brano da «Bel paese brutta gente» di Claus Gatterer. In tedesco Franz Thaler e i suoi ricordi di sudtirolese che disse no al regime nazista. E l’italiano di Primo Levi, «Se questo è un uomo». Poi un minuto di silenzio e infine la musica, suggerita dal sindaco Renzo Caramaschi: l’Adagio per archi di Samuel Barber, eseguito dall’Orchestra Haydn. Un applauso. La luce si è accesa. Le lettere sono alte 43 centimetri, appese al palazzo, tutelato, attraverso un sistema di tiranti. Coprono solo una piccola porzione del bassorilievo. L’opera di Piffrader non viene censurata, ma interpretata e contraddetta. Tra il palazzo e il tribunale, su cinque blocchi di cemento sono state montate le tabelle esplicative del fregio di Piffrader e della citazione di Hannah Arendt. Dopo il Monumento alla Vittoria, con l’anello luminoso e il centro di documentazione, arriva questo nuovo tassello. Ci hanno lavorato in tanti, con il coordinamento grafico della Gruppe Gut. Aveva iniziato nel 2011 il presidente Luis Durnwalder, che però ieri, in piazza, ricordava, «avrei preferito coprire il bassorilievo con un vetro opaco. Diciamo che è un primo passo...». Il senatore Hans Berger, «un compromesso, ecco». Il progetto artistico iniziale è degli artisti gardenesi Arnold Holzknecht e Michele Bernardi, che ieri sorridevano mostrando la scritta, prima in ladino, poi in tedesco e in italiano. Il ladino come «lingua franca», perché italiano e tedesco non dovessero prevalere l’uno sull’altro. Lo storico Andrea Di Michele, del gruppo di lavoro, mostra che su Mussolini «cade» proprio la parola Recht, il diritto contro la dittatura.

Kompatscher è rimasto in silenzio tutto il tempo della cerimonia, dall’altro lato della piazza c’era la giunta provinciale quasi al completo, il vescovo Ivo Muser, Caramaschi, con il vice Baur, assessori e consiglieri di maggioranza, l’ex sindaco Spagnolli, il prefetto Vito Cusumano, esponenti di Pd, Verdi ed Svp. «Qui insieme», riassume Richard Theiner. Destra e centrodestra sono rimasti a casa, con poche eccezioni come Enrico Lillo, che dice «bene le tabelle, che spieghino cosa è stato il fascismo. Non capisco perché mettere mano a un’opera d’arte». Quasi nessuna contestazione. Silenzioso un uomo avvolto nel tricolore. A fine cerimonia, qualcuno espone uno striscione «vergogna». I bolzanini leggono le tabelle. «Bene», «non capisco la frase», «non sono d’accordo». Kompatscher difende l’inaugurazione senza discorsi: «Volevamo una cerimonia democratica. Perché questo messaggio riguarda tutti noi. Obbedire agli ordini, quando si tratta di crimini contro l’umanità, non può essere una scusante. È la democrazia contro la dittatura». Il vescovo Muser, entusiasta: «Conoscere la storia, raccontarla tutta, senza offuscarla. Solo la riconciliazione ci porterà un futuro per tutti nella nostra città». Ancora Caramaschi su certe difese ambigue dell’opera (o dell’ideologia?): «Essere italiani o essere tedeschi non significa essere fascisti o nazisti. Spero che ciascun cittadino percepisca un senso di progresso e di pace in questa terra che ne ha passate tante. Con la democrazia abbiamo avuto un' autonomia ricca. È il momento non solo di convivere, ma di stimarci reciprocamente. Ricordiamo tutte le vittime, ma le idee non erano tutte uguali». Storicizzato anche il Piffrader, ci saranno altri passi? Kompatscher: «Manca ancora tanto. Tutti dobbiamo studiare la storia e trarne conclusioni». Protesta la destra italiana, ma anche la destra tedesca («rimuovere tutto»). Strana alleanza, dice Kompatscher, «forse qualcuno si sente derubato di argomenti per la campagna elettorale». Caramaschi: «Poche parole, solo commozione».

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