Duce e dintorni: i compromessi al ribasso dei due italiani

di Sergio Baraldi


Sergio Baraldi


Il caso politico nato attorno al bassorilievo del duce rischia di essere un groviglio nel quale potremmo finire per perderci. Nella vicenda s’intersecano diversi piani, dalla ricerca di una soluzione per il bassorilievo ai rapporti tra Provincia e Comune; il rischio è di spingere gli italiani a discutere se oscurare o meno il duce, invece di affrontare la questione fondamentale. Qual è questa questione? La democrazia che vogliamo in Alto Adige. Come sempre i cittadini hanno colto subito il tema essenziale. Interpellati dal nostro giornale, hanno risposto: la questione identitaria serve più ai politici che ai nostri problemi reali, che sono diversi dalla sistemazione dei monumenti fascisti.

Nel caso del bassorilievo in piazza Tribunale non è in discussione il duce, la vera posta in gioco è il tipo di democrazia che ci governa. Il duce si può rinchiudere anche in un museo, ma questa decisione deve essere presa “con” gli italiani, non “senza” o persino “contro” di loro. La regola dovrebbe valere per tutta la partita identitaria, che qui in Alto Adige ha il valore di questione costituzionale, vale a dire di principi che disegnano la cornice sociale della convivenza e che vanno decisi con il concorso di tutti.

Quindi, su questi temi o c’è una co-decisione in un gioco a somma positiva, nel quale tutti vincono, o l’equilibrio s’infrange. Da tempo, invece, Durnwalder sembra voler decidere da solo, senza tenere nel dovuto conto la parte italiana, come se non esistessero regole, come se potesse dipendere tutto dai suoi umori o dai suoi timori. Il caso del duce è esemplare: è stata la Provincia con il Comune a volere il concorso al quale hanno partecipato italiani e tedeschi. Ora un colpo di spugna lo ha annullato. Un concorso inutile? L’idea aveva i suoi punti deboli, perché le soluzioni possono non essere state le migliori possibili, ma aveva un pregio: far partecipare alla scelta cittadini di ogni gruppo linguistico. Chi l’ha revocato senza spiegazioni convincenti? Durnwalder. E gli assessori, che si erano sprecati nel giudicare le soluzioni, hanno alzato la mano disciplinati. Purtroppo, anche Tommasini e Bizzo.

In un’intervista al nostro giornale, l’on. Brugger ha spiegato: la Svp deve tornare a dare ampio spazio ai temi “tradizionali”, cioè nel loro vero nome, etnopopulisti. Posso comprendere le preoccupazioni elettorali di Brugger e di Durnwalder: la Svp sente il morso della concorrenza da parte della destra radicale tedesca o di quella sociale come gli Schutzen, è disorientata, sempre più spesso si fa dettare l’agenda dall’esterno. Lo spaesamento della Svp ha spinto Durnwalder a reagire nell’unico modo che conosce: far sentire il suo comando per semplificare una situazione che si fa complessa, e che non riesce a padroneggiare. Durnwalder è diventato così l’elemento destabilizzatore del sistema invece che stabilizzatore. Le sue decisioni invece di essere espressione di forza, sono apparse come una difesa scattata per debolezza, per vulnerabilità.

Si è rivelato il fondo d’insicurezza dell’uomo sul suo destino personale e soprattutto sulla sua eredità politica. Il prof. Fazzi torna oggi sull’argomento con un’analisi lucida sulle difficoltà del mondo tedesco. Qui vorrei sottolineare che di fronte alla paura di scendere sotto la traumatica soglia del 50% alle elezioni del 2013, la Svp corre ai ripari sotto la frusta dell’istinto, che la spinge a cavalcare l’etnopopulismo, i temi identitari, le vecchie furbizie per guadagnare spazi a Roma come a Bolzano. La crisi della Svp è raccontata dal suo vuoto progettuale, dall’economia alla sanità, e dalla difficoltà a scrivere i capitoli di un progetto per l’Alto Adige nell’Europa di domani e nel mondo globalizzato di oggi. La Svp diventa sempre meno la soluzione, sempre più il problema. Proprio la storia del duce è il racconto di questa inversione delle parti. Va detto che Durnwalder, con la sua rinuncia a essere un presidente imparziale non solo riporta l’orologio indietro al passato, ma delegittima la sua azione governativa oltre che la sua figura. Durnwalder non è più il definitore primario della situazione, non riesce a dare forma al dibattito pubblico cioè a darle una prospettiva, non può offrire una sintesi che fornisca ambiti di condivisione e comprensione. In poche parole, Durnwalder paga la sua parzialità con l’impossibilità di dare una rappresentazione della realtà che sia ampiamente accettata.

Può imporre la gerarchia istituzionale, ma non ha l’egemonia del senso comune, forse neppure nel mondo tedesco se il nuovo leader degli Schutzen si permette di dare la linea senza troppi riguardi, dicendo quello che loro vogliono, se la Svp intende seguire segua. La delicatezza di questo quadro si riversa sulle spalle italiane. E, quindi, si può capire chi ricorda che discutere con la Svp, in questa fase storica, sia difficile. Ma è vero che la politica italiana ha davanti l’opportunità di colmare un vuoto, e non si sta mostrando all’altezza della sfida. Dispiace dirlo, ma in prima fila si trovano Tommasini e Bizzo con Spagnolli. Lo spettacolo offerto dai tre, finora, è stato di qualità modesta. Non a caso il clima di opinione nella comunità italiana sembra negativo. Perché la politica italiana rischia di fallire proprio nel momento in cui dovrebbe dimostrare di sapere esercitare una leadership? E di fornire una rappresentazione sociale nuova, che risponda alle domande italiane ma sappia riconoscere le istanze del mondo tedesco? Detta in altri termini: se la Svp oggi sembra incapace di includere ma riesce solo a escludere, come mai gli italiani non riescono a fare né l’uno né l’altro? Forse si possono tentare due spiegazioni.

La prima potremmo definirla tecnica. Se oggi questa discussione fosse osservata da uno studioso della “teoria dei giochi” ci spiegherebbe che Tommasini e Bizzo mostrano un deficit nell’agire strategico. Oggi prevalgono forme d’azione che vedono attori muoversi su una scena che è un negoziato. Ogni attore è teso alla realizzazione dei propri fini, in una competizione con le altre parti. Gli attori non sono rivolti all’obbedienza a un comando, piuttosto puntano con le loro mosse a massimizzare la propria utilità, all’affermazione dei propri interessi, in concorrenza con gli altri. Questi partite competitive prevedono il ricorso a minacce, false rappresentazioni, persino bluff, al fine di porre in difficoltà la controparte e vincere. In questa competizione Tommasini e Bizzo non reggono il gioco al rialzo di Durnwalder. A volte danno l’impressione che non capiscano che hanno davanti una parte con i suoi obiettivi, e che loro sono anche la sua controparte. Dalla partecipazione ai 150 anni dell’Unità fino al concorso sul duce, la controparte è sembrata inconsistente, come l’Alto Adige calcio che vuole uno megastadio a Laives mentre precipita in classifica. I due assessori spiegano che loro assicurano un compromesso.

Ma chi ha stabilito che il compromesso giusto sia quello al ribasso che vediamo ogni volta? In una negoziazione competitiva bisogna anche essere pronti a respingere il compromesso. A rischiare. A lasciare la Svp sola ad assumersi la sua responsabilità, come ha scritto il nostro Paolo Campostrini. Durnwalder avrebbe tolto il duce? Se ne sarebbe assunta la responsabilità. Tommasini e Bizzo si sono fatti schiacciare nella difesa del duce, mentre la comunità italiana in larga maggioranza non solo non è fascista, ma ha problemi più seri ai quali pensare. Chi ha chiesto loro di cedere sulle regole della democrazia, queste sì decisive, per difendere il duce? E’ giusto rimarcare gli errori di Durnwalder. Ma è ora che gli italiani guardino alla proprie debolezze politiche. E’ troppo comodo scaricare tutte le colpe su Durnwalder, che non si risparmia nulla per attirarle. La difficoltà a giocare il gioco strategico al tavolo della giunta provinciale chiama in causa il modo in cui i due assessori interpretano il loro ruolo e chi rappresentano quando compiono una continua mediazione all’indietro. C’è poi la questione politica. Se è vero che la Svp vacilla sotto le pressioni della destra sudtirolese e apre un vuoto, la politica italiana ha l’occasione di colmarlo. Da questo punto di vista, l’iniziativa del Pd di ieri è stata positiva e c’è da augurarsi che altre forze politiche ne seguano l’esempio. Il fatto che il partito italiano di governo prefiguri un “suo” progetto è un bene per tutti. Più si discute di futuro meglio è.

Il segretario Frena sembra aver imboccato la via giusta, che lo porta a uscire dalla vocazione minoritaria. Ma ora deve tenere la rotta. Oggi la questione centrale riguarda la democrazia: in uno stato etnico occorre più che mai un equilibro tra decisione e partecipazione di tutte le componenti sociali e linguistiche. Durnwalder e la Svp non sembrano riuscire a garantire questo equilibrio. La politica italiana ponga la questione delle regole, della trasparenza, della partecipazione, dell’imparzialità delle istituzioni. Il duce si può anche togliere se è il modo migliore per rispettare i sentimenti dei cittadini sudtirolesi, ma deve essere una decisione maturata in un confronto serio, pubblico, con garanzie precise. Deve essere una scelta presa insieme in modo da diventare il fondamento di una nuova, diversa stagione dell’autonomia. Le questioni che riguardano la sfera identitaria, in Alto Adige equivalgono a decisioni costituzionali. I partiti italiani forse potrebbero inaugurare un patto di consultazione tra centrosinistra e centrodestra per definire una posizione condivisa a Bolzano come a Roma. Competano per il governo, non per i principi della convivenza. Non è l’ora della subalternità. E’ l’ora della responsabilità.













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