Durnwalder e il progetto fantasma

di Sergio Baraldi


Sergio Baraldi


Negli ultimi giorni Durnwalder ha passato il suo tempo a farsi dare ragione. Si è fatto dare ragione dal suo partito. Ha chiesto di farsi dare ragione dalla sua giunta. Vorrebbe farsi dare ragione anche da noi dell’Alto Adige. Come mai l’uomo che ha maggior potere sul territorio si lamenta e vuole sentirsi dire che ha ragione lui? Forse perché teme di non averla? Forse perché avverte che anche la solidarietà del suo partito potrebbe essere obbligata più dalla disciplina che dalla convinzione? Forse perché cominciano a levarsi voci che lo criticano dal mondo tedesco? E’ probabile che questo simpatico settantenne di Falzes senta di non aver più il monopolio nell’indicazione dei valori collettivi, che il circuito della approvazione-disapprovazione sia sfuggito alla sua “autorità”. Forse per questo si lamenta e chiede di essere rassicurato: subisce una concorrenza crescente nello stabilire cosa è vero e utile. E che dire della Svp, che invece di affrontare i nodi strutturali di fronte ai quali si trova la società altoatesina, ha il tempo per disegnare cospirazioni, per criticare suoi esponenti di primo piano, e strologa sul perché il nostro giornale critichi il potere. Il potere, si sa, non ama essere criticato. E quello sudtirolese non fa certo eccezione. Durnwalder sa che il nostro giudizio è libero: valutiamo sulla base dei fatti, delle scelte compiute, dello stile di governo adottato.

E ancora, della cultura politica che ne emerge, e per questo è diventato il giudizio che conta. Non è in questione il passato, che lascia una discreta eredità alla quale guardare con misurata soddisfazione. Non c’è una contestazione sul bilancio di Durnwalder, anche se, a mio avviso, non mancano certo i punti deboli. Il tema oggi è un altro, ed è la capacità della società e della politica di guardare avanti. Durnwalder, la Svp, la politica italiana, le nostre istituzioni si stanno muovendo nella direzione giusta per metterci nelle condizioni di affrontare un’Europa e un mondo che cambiano? In sintesi: Durnwalder sa progettare il futuro?

I dubbi sorgono diffusi, il nostro giornale li ritiene fondati. Sta alla politica decidere come reagire. Può muoversi sulla scena del teatrino della politica secondo la logica degli schieramenti amico-nemico, oppure affrontare un confronto serio sulla strategia per il futuro. Il nostro giornale si tiene ben lontano dal retrobottega della politica politicante, ma pone, da mesi, la questione del progetto per l’Alto Adige. Anzi, abbiamo messo noi al centro della discussione pubblica il tema di come il territorio debba adattarsi alle sfide della globalizzazione, dell’Europa, e ai cambiamenti che comportano. Poi c’è un mutamento che spinge dal basso: quello che riguarda la collettività, che sembra meno ingessata del passato, più frammentata e plurale, portatrice di nuovi bisogni e nuove domande.

Nello stesso tempo, ho l’impressione che anche qui si stia facendo sentire un individualismo più consapevole: le persone devono assumersi maggiori rischi rispetto al passato e avanzano un’istanza di maggiore autonomia e responsabilità. Più lentamente che altrove, persino la nostra società si trasforma. I diversi cambiamenti hanno investito la rappresentanza politica, che segna il vero punto di crisi del sistema locale. E hanno reso più evidenti una serie di “impossibilità” che toccano la delega, il governo territoriale e la sua legittimazione.

La fatica di governare di Durnwalder nasce dal fatto che appare sempre più chiaro che queste “impossibilità” non trovano una rappresentanza adeguata e uno sbocco di governo. L’economia è alle prese con il complesso problema di riconvertirsi in un’economia orientata all’innovazione e all’export, cioè in un’economia a maggiore intensità di capitale (finanziario, umano, sociale) e, quindi, di investire in qualità. Le istituzioni economiche hanno elaborato un progetto ricco d’indicazioni interessanti. La politica ascolta o pensa ai complotti? La scuola è percorsa da fermenti che fanno del bilinguismo il fuoco del movimento e che prefigura il volto della società bilingue del domani? La politica italiana è attenta, ha raccolto la sfida, si muove, ma quella tedesca è lenta, contraddittoria, incerta. Anche qui chi governa ascolta o pensa ai complotti?

La sanità è una riforma cruciale per il territorio, ma il progetto delineato da Theiner salta il nodo dei sette ospedali che molti indicano come la madre di tutti i problemi, che fa tenere aperte troppe strutture costose e sottoutilizzate, e non coinvolge come dovrebbe i medici e gli infermieri nella riorganizzazione. Anzi, Theiner è arrivato a definire i medici una lobby. I sindacati chiedono, giustamente, una riduzione dell’Irpef per i ceti più deboli ed esposti alla crisi, ma per questo capitolo gli stanziamenti non si trovano.

E che dire della questione identitaria? Il nostro giornale ha pubblicato documenti che attestano le violazioni compiute sui cartelli di montagna. Nessuno ne vuole fare una guerra di religione, gli italiani hanno reagito soprattutto alle uscite faziose di Durnwalder, ma una questione politica emerge: tra Svp e Avs non c’è stata trasparenza, si è cercato di far passare un messaggio che non corrisponde ai fatti accertati, sono corsi finanziamenti sui quali la Procura indaga. Durnwalder ha utilizzato la partita identitaria per coprirsi contro la destra radicale, sperando di non perdere voti, e per stringere le fila di un partito pericolosamente toccato dalle divisioni.

Ora Durnwalder si trova in uno stallo imbarazzante: ha lanciato un’offensiva identitaria che ha toccato il culmine nella polemica contro il presidente della Repubblica Napolitano ed è costretto a presentare come una grande iniziativa la trattativa sui pittogrammi, i disegni sui cartelli. E’ in un vicolo stretto, in cui si è messo da solo, e non sa come uscirne. Dov’è su tutti questi temi la capacità di governo di Durnwalder? Quello che si vede è la difficoltà di guidare il cambiamento della società. Di accoglierlo e immaginarlo. Di dargli una meta. Durnwalder riflette il volto di una società conservatrice, rivolta all’indietro, che esiste ed è vasta. Ma può essere questo il futuro di italiani tedeschi e ladini? Dov’è la visione di una politica che guarda lontano?

Consiglio ai nostri lettori l’istruttivo articolo del professore Palermo. La sua osservazione che più la Svp parla di identità sudtirolese più diventa italiana nei difetti, mi sembra colga un punto. Uno dei vantaggi dell’integrazione è che dovremmo imparare gli uni dagli altri, prendendo ciascuno il meglio dell’altro non il peggio. La difficoltà della politica, tedesca e italiana, di dare soluzioni e sintesi efficaci agli interessi e alle istanze plurali di una società che si differenzia, per ora trova conferme. Per quale ragione? Innanzi tutto, il progetto per la società è un fantasma nei corridoi della Provincia. Inoltre, siamo una società etnica che pratica poco quel “governo delle differenze” che sposterebbe il centro della legittimazione del potere verso i diritti e l’autonomia degli individui.

In una parola, l’Alto Adige è ancora pervaso da una cultura centralista che non pone l’attenzione del suo sistema istituzionale in direzione delle periferie sociali, con il conseguente spostamento di quote di potere. Durnwalder ha assunto decisioni positive (da Bolzano capitale europea al polo tecnologico, all’aeroporto), ma si tratta di scelte singole, risultato spesso di pressioni sociali, che testimoniano un’espansione quantitativa. Non fanno parte di una coerente idea del futuro che rivela una crescita qualitativa. Non c’è strategia, c’è tattica. Guardiamo poco il futuro, indugiamo verso il passato. Questi limiti si manifestano in un “declinare crescendo”. Invece, un progetto orienta la società, trasmette priorità. Suscita energie, muove ambizioni. Un progetto può diffondere fiducia, voglia di partecipare e di sfidarsi. Siamo gli ultimi al Nord per innovazione ed export. Avete visto una discussione approfondita? Vedete un progetto che faccia dell’innovazione in tutti i campi il messaggio della nostra società?

L’altra faccia di questo ritardo è la mancata valorizzazione del dissenso e delle molte minoranze. Non si tratta di impedire le decisioni strategiche con discussioni infinite, ma di attribuire ai cittadini, a nuovi soggetti, alle minoranze, diritti di partecipazione e confronto. I cittadini chiedono di riscuotere un riconoscimento e una diversa articolazione della politica. La logica dei diritti è decentralizzante e pone in evidenza non solo la maggioranza, ma la possibilità di dissenso; privilegia non solo il consenso, ma pure la partecipazione; dà spazio non tanto all’eguaglianza livellatrice, quanto alla possibilità di affermare la propria differenza. Anche qui si delinea una “sovranità complessa”, come l’ha definita lo studioso francese Rosanvallon, alla quale la politica non riesce a rispondere se non rifugiandosi nel vecchio gioco del “chi sta con chi”. Non sta a un giornale decidere se Durnwalder sia l’uomo che può aprire la porta del futuro. Ma sta a noi richiamarlo alle sue responsabilità verso i cittadini, qualunque lingua parlino. E su questo nostro impegno, ci può contare. Buona Pasqua, lettrici e lettori.

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