Estati troppo calde, l'Ortles si squaglia / FOTO

I risultati dei carotaggi in quota confermano che il riscaldamento globale degli ultimi anni sta cambiando il ghiacciaio


di Federico Sanzovo


BOLZANO. I ghiacciai sono importanti raccoglitori di informazioni delle condizioni climatiche e indicatori dei loro cambiamenti. Lo sanno bene gli scienziati che si sono riuniti all'Eurac per esporre i risultati degli studi realizzati con i dati raccolti sulla cima dell'Ortles. Geologi, climatologi e medici, infatti, hanno partecipato alla stessa spedizione scientifica nel 2011, coordinata dal Byrd Polar Research Center dell'Università dell'Ohio e dalle Ripartizioni della Provincia di Bolzano legate all'ambiente.

I ricercatori del “Progetto Ortles” hanno vissuto due settimane sulla cima del ghiacciaio, a 3859 metri di altezza. I dati raccolti mediante il carotaggio sono stati analizzati nei laboratori delle università di Venezia, Innsbruck e dell'Ohio. Da queste elaborazioni è apparso chiaro che anche i ghiacci delle cime dell'Ortles si stanno sciogliendo, seguendo i trend negativo globale.

Paolo Gabrielli del Byrd Polar Research Center, spiega: “Negli ultimi trent'anni il riscaldamento atmosferico ha modificato le caratteristiche del ghiaccio presente sulla cima dell'Ortles e questa variazione continua tutt'oggi”. Il fenomeno che è stato registrato dal team di Gabrielli è molto importante: “Le estati degli ultimi decenni sono state più calde delle precedenti, questo ha causato uno scioglimento della neve più abbondante durante i mesi più caldi”. La neve, una volta diventata acqua è poi colata all'interno del ghiacciaio e questo, negli anni, ne ha variato la temperatura. «La calotta ghiacciata dell'Ortles sta passando dallo stato detto “freddo“ ad uno “temperato“. Dobbiamo quindi proseguire gli studi per capire quando la base del ghiacciaio arriverà alla temperatura di fusione e quali saranno le conseguenze». Pensando agli ultimi tragici incidenti occorsi agli alpinisti che si trovavano nel gruppo Oltres (uccisi da slavine o precipitati per la mancata tenuta del ghiaccio), il dottor Gabrielli non ha dubbi: “Questi eventi si sono verificati in giornate particolarmente calde, che hanno comportato lo scioglimento della neve superficiale. Quindi è chiaro che bisogna fare attenzione: questo genere di avvenimento potrebbe essere più frequente in un ambiente condizionato da temperature mediamente più elevate”.

Il direttore dell'Ufficio geologia della Provincia, Volkmar Mair, ha svolto l'importante compito di raccogliere dati sul permafrost. Si tratta del materiale che si trova sotto la superficie terrestre e che rimane sotto lo zero per almeno due anni consecutivi. Questo strato è molto importante per la stabilità del ghiacciaio: il suo riscaldamento, unito allo scioglimento del ghiaccio, rende le rocce più instabili e aumenta il pericolo di frane. “Nel 2004 – spiega Mair – abbiamo registrato il crollo di una grossa parete rocciosa. Fortunatamente non c'è stato nessun danno, ma dobbiamo riflettere: lo smottamento è avvenuto l'anno dopo la torrida estate 2003”. Mair ha posizionato quattordici sensori in diversi punti per continuare a monitorare il permafrost.













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