Il ruolo delle donne? «Nessuno, semplice elemento decorativo»

di Mauro Fattor Per chi crede in una società aperta e plurale, più o meno ha l'effetto di un pugno nello stomaco. Per chi crede nel potenziale rivoluzionario del “femminile”è una tristezza senza...


di Mauro Fattor


di Mauro Fattor

Per chi crede in una società aperta e plurale, più o meno ha l'effetto di un pugno nello stomaco. Per chi crede nel potenziale rivoluzionario del “femminile”è una tristezza senza fine.

Si chiama “Die Marketenderin. Frauen in Traditionsverein”, ovvero “La vivandiera. Donne nelle associazioni tradizionali” ed è il volume edito dall'Archivio Provinciale che verrà presentato oggi alle 18 a Palazzo Rottenbuch, in via Diaz. Si tratta del primo studio approfondito sul ruolo delle donne all'interno degli Schützen.

Un lavoro scientifico di alto livello, profondo e disarmante, che porta le firme eccellenti di Siglinde Clementi di “Storia e Regione”, Elisabeth Tauber, antropologa della Lub di Bolzano, Astrid von Schlachta, dell'Università di Regensburg e Ellinor Forster dell'Università di Innsbruck.

Il volume è figlio di due polemiche che si erano affacciate alle cronache negli anni scorsi.

Da una parte l'accusa lanciata alle Marketenderinnen dalla consigliera provinciale della Volkspartei, Julia Unterberger, di tenere viva una tradizione che vede la donna relegata al ruolo di prostituta dedita, diciamo così, al sollazzo della truppa. Perchè tale era il ruolo delle vivandiere quando gli Schützen ricoprivano un ruolo strategico nella difesa militare territoriale. Dall'altra l'allontanamento nel 2006, di una giovane pusterese rea di avere marciato assieme ai colleghi uomini della sua Compagnia di appartenenza rifiutando il Tracht, il costume tradizionale femminile per indossare panni maschili, con tanto di cappello piumato. Inconcepibile. E poi la piuma. Sfacciata. «La piuma rappresenta la libertà, e le donne non devono portare nessuna piuma!», come ha gentilmente ricordato uno Schütze nell'aprile 2008 in occasione della tradizionale Giornata della Vivandiera.

Lo studio, come detto, nasce nel solco di questi due fatti di cronaca ed è stato fortemente voluto dall'assessora alla Cultura in lingua tedesca, Sabina Kasslatter Mur, e di questo le va reso merito.

Il ruolo delle donne nelle associazioni tradizionali è sempre stato infatti talmente marginale da non essere mai stato indagato in modo approfondito.

Il libro colma dunque questa lacuna ma va anche oltre. Impossibile infatti indagare sulle Marketenderinnen senza occuparsi dell'universo di valori e sulla costruzione dell'identità collettiva degli Schützen.

Il primo colpo ai sacerdoti della tradizione lo infligge Siglinde Clementi, spiegando che la figura della vivandiera così come la conosciamo oggi è inventata di sana pianta, e per di più è un'invenzione relativamente recente. «Nel 1909 – spiega la storica altoatesina- in occasione delle celebrazioni del centenario della rivolta hoferiana, di Marketenderinnen non c'era neppure l'ombra, da ciò deriva una irriducibile ambivalenza nella sua figura. È parte integrante della cultura e della tradizione tirolese, ma dal punto di vista storico non può far valere una grande tradizione».

In questo libro l’approccio antropologico e quello storico si saldano per esplorare a fondo la questione.

L’antropologa Elisabeth Tauber si occupa innanzitutto delle autointerpretazioni delle protagoniste stesse.

L’analisi del’universo culturale delle Marketenderinnen viene effettuata tenendo conto di quello degli Schützen in generale, che si autopercepiscono come punta di lancia della tirolesità dura e pura.

Ogni loro uscita pubblica mette in scena il dramma rituale della purezza etnica . Come fenomeno pubblico gli Schützen offrono alla popolazione sudtirolese di lingua tedesca una piattaforma di proiezione della propria identità etnica, che si distingue in modo maschile, militare e nazionalista dagli “altri” – italiani e immigrati.

La Marketenderin segue invece la marcia come semplice “ornamento” senza diritto di parola e indirizza l’attenzione sulla forza e la potenza maschile nell’atto di resistenza contro l’influenza culturale degli “altri”, soprattutto degli italiani.

Gli altri contributi storici del volume approfondiscono tre aspetti centrali della storia delle Marketenderinnen: Astrid von Schlachta indaga il ruolo delle donne nell’esercito della prima età moderna con la loro presenza naturale nelle salmerie degli eserciti mercenari e le diverse coniazioni del sistema militare tirolese.

A partire dalla centralità dell’insurrezione del 1809 per la memoria culturale e le costruzioni d’identità basate sulla storia in Tirolo, Ellinor Forster analizza invece la partecipazione delle donne muovendosi a metà tra leggenda e realtà storica.

Siamo quindi in territorio squisitamente etnonazionalista e trattandosi di Schützen, potremmo dire che scopriamo l'acqua calda. Vero. Ma alcune parti del libro, e una parte delle conclusioni, disegnano uno spaccato del background reazionario degli Schuetzen francamente imbarazzante. E suonano come un campanello d'allarme per tutta la società altoatesina.

Scrive l'antropologa Elisabeth Tauber nelle conclusioni del suo intervento: «Gli Schuetzen come fenomeno culturale, sociale e politico si spiegano solo nel contesto di una “società separata”, intesa come elemento caratterizzante della società sudtirolese. Nonostante vari tentativi della società civile di superare questo stallo, a livello politico-istituzionale-strutturale quella altoatesina è e resta una società separata».

“Sangue tirolese”, difesa dei valori autenticamente “tedeschi”, localismo escludente concorrono oggi a costruire un'identità che porta alcuni tra gli Schuetzen a spingersi in territori “pericolosamente vicini all'ideologia neonazista” come scrive la ricercatrice della Lub. Alcune delle interviste alle Marketenderinnen in questo senso sono illuminanti.

Può marciare con gli Schuetzen solo chi è “echt”, cioè “autentico”. E chi è autentico? «Sono autentiche – spiega Elisabeth Tauber – le persone di lingua tedesca che vivono in alto Adige da più di una generazione oppure che provengono dalla Germania e dall'Austria». E se un sudtirolese di lingua italiana – chiede l'antropologa - volesse marciare con i tiratori scelti? La risposta di una vivandiera è laconica: «Se uno è un vero italiano non si interessa degli Schuetzen. I veri tirolesi sono combattenti, hanno dovuto sempre difendersi».

Per non parlare della polemica sulla compagna tailandese del comandante di una compagnia a cui viene negato il diritto di portare il Tracht.

Ancora Elisabeth Tauber: «Donne con un un background migratorio, che vivono in alto Adige da due generazioni e che sono cresciute in una città dell'Alto Adige non hanno diritto di indossare l'abito tradizionale e di marciare assieme alle vivandiere».

L'elenco di amenità del genere è lunghissimo. Ci fermiano qui. Un'ultima annotazione sul ruolo totalmente passivo, “decorativo”, in cui le Marketenderinnen sono confinate. Se qualcuno pensa che le oltre 600 vivandiere altoatesine soffrano di questa subalternità si sbaglia di grosso.

Fa impressione leggere affermazioni come questa, rilasciata da una insegnante: «Gli uomini possono fare gli uomini, le donne possono fare le donne, la consapevolezza di sé delle donne negli Schuetzen nasce da questa certezza». Oppure: «Si viene più apprezzate come donne – afferma una biologa vivandiera – Essere considerata un ornamento per me è un complimento».

A questo punto sarà molto, molto interessante vedere come verrà accolto il libro.

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