Insulta la maestra del figlio su Facebook: condannato 

Accusò l’insegnante di assenteismo, ma in realtà la donna era malata Il giudice gli ha inflitto 8 mesi di reclusione e un risarcimento di 12 mila euro  



BOLZANO. Non valutare con attenzione il contenuto di un post diffuso sulla piattaforma facebook può costare decisamente caro. Lo ha imparato a proprie spese un altoatesino della val Badia che ieri è stato condannato a otto mesi di reclusione per aver diffamato l’insegnante del figlio che frequenta la scuola elementare in un paese della valle. La leggerezza con cui l’uomo ha sostanzialmente offeso la reputazione professionale dell’insegnante avrà ripercussioni anche di carattere economico.

L’imputato infatti potrà godere della sospensione condizionale della pena ad una sola condizione: dovrà pagare il risarcimento morale nei confronti dell’insegnante che , complessivamente, ammonta a 12 mila euro. La giudice Carla Scheidle ha anche dettato i tempi massimi della liquidazione della somma. Il risarcimento infatti dovrà avvenire entro il 30 giugno prossimo. In caso contrario l’imputato non potrà godere della sospensione condizionale e, dunque, dovrà avviare quanto previsto dal nostro ordinamento per evitare di scontare concretamente in carcere la condanna e cioè fare istanza, con il proprio avvocato, al tribunale di sorveglianza per essere ammesso ai servizi sociali in prova. La condanna in questione è stata inflitta per diffamazione. La circostanza ed il contenuto di quanto diffuso dall’imputato sono stati considerati dalla giudice particolarmente gravi in relazione alla lesione della reputazione professionale della parte lesa.

Le considerazioni del padre di un alunno dell’insegnante in questione furono diffuse su pagine libere del profilo facebook dell’imputato. In sostanza una bacheca pubblica che chiunque aveva avuto la possibilità di consultare. L’insegnante venne indicata come "lavativa" e assenteista. A fronte di una serie di assenze fatte registrare durante l’anno scolastco, il padre dell’alunno - senza verificare come stessero realmente le cose - accusò la maestra di non essere certo un esempio di serietà professionale. In realtà nel corso del processo la parte lesa (che si è costituita parte civile nel procedimento) ha dimostrato che in realtà le assenze fatte registrare sul posto di lavoro erano da imputare ad una malattia che aveva colpito prima il marito e poi la stessa insegnante. La diffusione delle accuse ovviamente ha creato il danno maggiore alla reputazione della donna proprio nella valle ove l'insegnante era ed è molto conosciuta.

Nel corso del processo la parte lesa ha avuto anche la possibilità di documentare come i contenuti dei post considerati diffamanti fossero stati letti da centinaia di persone dopo che il caso era diventato di pubblico dominio. Il danno di immagine per l’insegnante fu rilevante in quanto la donna venne in sostanza accusata, anche ripetutamente, di essere una malata immaginaria e di non avere a cuore la propria attività , puntando solamente ad assentarsi dal servizio. In alcuni casi l’insegnante fu accusata di essersi spacciata per malata nei mesi di lavoro per poi rientrare formalmente in servizio in occasione dei periodi di ferie come Natale, Pasqua e durante i mesi estivi.

In realtà sia nel corso dell’inchiesta, avviata a seguito della querela per diffamazione, sia nel corso del processo è emerso che l’insegnante fu costretta a restare a casa da seri problemi di salute. (ma.be.)

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