«Italiani, è ora di rimboccarsi le maniche»

Don Gretter (Duomo): «Ancora resistenze a imparare il tedesco anche tra i giovani»


di Francesca Gonzato


BOLZANO. Per don Mario Gretter affacciarsi su diverse identità è stile di vita. Meranese, mistilingue, da sacerdote si trasferì a Il Cairo per imparare l’arabo, competenza che l’ha portato a essere oggi il responsabile diocesano per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso. Ha conosciuto per sette anni la Bolzano della parrocchia di Don Bosco e ora quella del Duomo e dei Piani, di cui è parroco.

In base al suo osservatorio, qual è lo stato di salute del gruppo italiano?

«Partiamo dai giovani, che trovo alle prese di un sentimento contraddittorio. Sono connessi con il mondo, grazie a internet e ai viaggi, ma in troppi casi riproducono la diffidenza delle scorse generazioni nell’imparare il tedesco».

Le scuole tedesche sono piene di bambini italiani, iscritti per imparare la lingua.

«Sì, ma lo zoccolo duro resta. È una preclusione che non so se dire ideologica o altro. Fatto sta che l’inglese lo imparano... Nei nostri gruppi in parrocchia questa resistenza sulla lingua viene fuori e non si può dare la colpa solo al fatto che i sudtirolesi parlino il dialetto. Infatti, quando trovano lavoro e il tedesco diventa necessario, allora scatta la molla e il tedesco viene imparato. Se dovessi riassumere in una immagine, sento una certa cappa, perché la resistenza sulla lingua è resistenza alla contaminazione culturale».

E gli adulti?

«Soprattutto tra le famiglie del centro c’è più leggerezza, perché le professioni comportano la mescolanza tra italiani e sudtirolesi. Ma anche tra gli adulti trovi la barriera linguistica».

Si sono appena tenute le elezioni per i consigli pastorali in tutta la provincia. Il Sinodo ha stabilito la fusione dei consigli italiani e tedeschi, ma la rivoluzione è partita a metà. Non tutte le parrocchie con fedeli mistilingui hanno accettato.

«Tutti però siamo impegnati in un percorso di avvicinamento tra le comunità di fedeli. Si torna a quanto abbiamo appena detto sulla distanza tra le comunità. In questa terra è ancora possibile, volendo, vivere solo tra italiani, da Bolzano a Vipiteno, o tra sudtirolesi».

La barriera linguistica diventa ovviamente un meccanismo di difesa.

«Non so se chiamarla pigrizia. “È già abbastanza ciò che ho nella mia vita, non ho bisogno di questo ulteriore passo”».

Lei parla di cappa. Con quale temperatura emotiva?

«Ecco, questo è un punto che mi provoca sorprese. Sento un po’ di rabbia della minoranza verso gli “altri”, in questo caso i sudtirolesi, “che hanno quasi tutto e si vogliono prendere ciò che resta”. Pochi giorni fa mi sono trovato in una discussione del genere. Si parlava di scuola e in breve il discorso è diventato “ci tolgono anche gli ultimi spazi” e più proseguiva la discussione, più la rabbia cresceva e uscivano parole come “oppressione” e “assimilazione” da persone da cui non mi sarei assolutamente aspettato».

Effetto della crisi dei partiti? Gli italiani in Alto Adige sembrano non sentirsi rappresentati, infatti votano sempre di meno.

«È sempre colpa degli altri? Cosa facciamo per formare un adeguato corpo politico? Come chiesa avevamo organizzato una scuola di formazione politica, cui partecipò anche Luigi Spagnolli. Con il tempo sono mancate le iscrizioni e il progetto è stato chiuso».

La risposta debole sui consigli pastorali nasconde il timore di perdere l’identità?

«Anche qui, subiamo o ci rimbocchiamo le maniche? Forse il punto è che in questa terra ci siamo abituati ad avere molto, a darlo per scontato e a lamentarci quando la situazione cambia. Dobbiamo investire del nostro. La convivenza la costruiamo noi. Certo che serve lavoro e fantasia... Un esempio: a Natale e Pasqua si è deciso di puntare sulla messa bilingue con il vescovo in Duomo. Sono state quindi cancellate le messe in italiano a San Domenico. Il risultato è che le persone si sono spostate, portando con sé alcune richieste sulla liturgia legate alla propria tradizione. Certo che la comunità tedesca con le sue associazioni e il coro in Duomo compete con “armi” diverse, ma sta a ognuno di noi decidere come porsi rispetto a queste situazioni. Ti senti il fratello sfortunato o ti metti in gioco? Don Bosco a sorpresa fece da apripista sulle messe bilingui. Gli anziani rovigotti hanno imparato i canti in tedesco e via... A volte funziona meno bene».

A proposito di rabbia verso gli “altri”, parliamo della reazione verso i richiedenti asilo di una comunità nata su una migrazione di massa? Solidarietà da un lato, rabbia dall’altro. I Giovani padani vorrebbero portare i profughi “in cima alle montagne”.

«Si parla di emergenza, ma una emergenza è il terremoto. Il fenomeno dei richiedenti asilo durerà molti anni, non terminerà né prima del Mercatino di Natale né dopo. Bisogna lavorare per togliere il potenziale distruttivo di chi paragona queste persone a scatole da scaricare da una parte o dall’altra. Il rischio è che si crei una guerra tra poveri, soprattutto se non ci conosciamo. Nella parrocchia di San Giuseppe ai Piani da quasi due anni lavoriamo per costruire un filo con gli ospiti della ex Gorio. Alcuni di loro vengono a messa e trovano le letture tradotte in inglese. Convivenza, accoglienza, siamo sempre lì... Ci si deve lavorare».

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