L’esperto: «Dragare i fiumi non serve, anzi è dannoso» 

Il docente Lub Comiti: «In Alto Adige hanno retto perché sono gestiti bene» «Il Talvera è molto ben regimentato. Ottime le briglie aperte alla Sill»



BOLZANO. Professore, un ministro ha detto che la ragione dell'ultimo disastro idrogeologico è la scarsa pulizia dei fiumi... «Ho sentito. Per Salvini la colpa sarebbe anche di ecologisti e alberi che non si tolgono dai fiumi». È vero? «È vero il contrario. Scontiamo ancora le operazioni di vasto dragaggio degli ultimi decenni. In realtà i fiumi e i torrenti hanno bisogno del loro sedimento. Pulirli troppo danneggia l'alveo e fa correre rischi anche ai ponti, che in questo modo si trovano scoperti». E gli alberi? «La vegetazione ripariale è costantemente rimossa. Accade con molto rigore in Alto Adige. E anche nel Bellunese. Anzi, forse in Veneto ancora di più. I tronchi che vengono portati dalla corrente non vengono dalle rive ma dai boschi devastati dal vento». Una operazione di "informatia" quella portata avanti da Francesco Comiti, che insegna sistemazione idrauliche e forestali alla Lub. E proprio nell'ateneo bolzanino ha organizzato una due giorni di convegno, patrocinato dall'Ispra, che ha radunato ricercatori, professionisti dell'ambiente, geologi, idrogeologi per stilare un manifesto-guida sulla gestione dei sedimenti nei bacini idrografici. Detto in parole povere: per contrastare le fake news che, appena cade un poco di pioggia e i torrenti ingrossano, rimpinguano le dichiarazioni di tanta politica. Non parliamo dopo il disastro delle settimane scorse, con esperti dell'ultima ora piovuti dalle segreterie dei partiti a proporre soluzioni raffazzonate. E a farlo in luoghi di antica saggezza montanara, popolati da gente che ha sempre amato i propri boschi e i fiumi che li percorrono.

Professore, sembrava naturale credere che per rendere sicuri i fiumi occorresse dragarli.

Chiariamo: un conto è ragionare dopo una piena, un altro a regime. Dopo quello che è accaduto va rimosso il sedimento, ma solo quello in più. Perchè l'acqua correndo a valle in gran quantità porta via terreno e tronchi e sabbia e sassi. Ma a regime i sedimenti vanno mantenuti, non tolti sistematicamente come quando, specie fino agli anni '70, si dragavano i fondali per ricavare materiale per l'edilizia.

E cosa accadeva allora?

Che crollavano i ponti e gli altri manufatti. Se togli il terreno sotto i piedi ai piloni succede...

Che occorre fare oggi?

Se vengono rimossi i sedimenti i torrenti vengono incisi, sono incassati e diventano pericolosi proprio con le grandi piogge. In certi casi poi, occorre far sì che vi sia più sedimento e quindi va addirittura portato sul posto in alcuni punti.

Insomma la soluzione è non disturbare troppo i fiumi?

È così. Vanno rispettati anche nel loro alveo. Perchè già la presenza di dighe o briglie frena la formazione naturale dei fondali.

E poi c'è il pericolo degli alberi sulle rive che possono ostruire, no?

In questo caso c'è una vasta cultura di intervento. In Alto Adige la vegetazione a ridosso dei corsi d'acqua viene rimossa con continuità. C'è un regime di taglio, come si dice, molto preciso.

I fiumi altoatesini sono sicuri?

Sono tra i più sicuri. Come pure quelli del bellunese.

Il Talvera si era molto ingrossato nei giorni del disastro in quota.

Il Talvera è molto ben regimentato. Ci sono le briglie aperte all'altezza della Sill, altre opere anche sull'Isarco. Certo, alcuni interventi, come a Chiusa o in altri angoli sono impattanti, ma servono a dare sicurezza.

E allora perchè è accaduto? Perchè a volte accade l'inondazione, il disastro?

Perchè piove tanto. Ma proprio tanto. Nei luoghi dove le regole sono rispettate e si agisce con scienza e coscienza accade meno. I fiumi altoatesini, ad esempio, hanno retto. Ma quello che conta è fare il massimo, muoversi con attenzione e rigore. L'uomo deve fare la sua parte, allora il fiume fa la sua. Poi, in occasione di fenomeni estremi, può accadere che la natura si muova fuori dalla nostra portata. Ma questo non significa che non si debba sempre e comunque continuare a studiare nuove tecniche o sistemi di allerta. E a operare soprattutto in tempo di "pace" per le acque. (p.ca.)













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