La carezza del Papa per gli Yankees, indomabili combattenti 

L’iniziativa. In Vaticano in 40 tra ragazzi e genitori. Ha organizzato tutto mamma Sabine


antonella mattioli


Bolzano. «Volevo fare un regalo a mio figlio Matteo, dopo un intervento chirurgico lungo e complesso; e volevo lo condividesse con altri ragazzi degli Yankees. In realtà il regalo l’ho fatto a me stessa. Sono state due giornate indimenticabili: l’incontro con il Papa è stato un momento emozionante per tutti». Sabine Bertagnolli - donna e mamma ottimista nonostante tutto - è appena rientrata da Roma: una trasferta “speciale”, ideata e organizzata da lei per 14 Yankees - la squadra di calcio dove giocano ragazzini con la sindrome di Down e altre disabilità - e 26 accompagnatori, tra genitori e nonni. In tutto quaranta persone che, mercoledì, hanno incontrato Papa Francesco.

«Era un po’ - racconta - che ci pensavo. A Roma, dal Papa, io, Matteo e Roberto, mio marito, eravamo stati nel 2015. Mio figlio ha una predilezione per Bergoglio, da quando ha cominciato a vederlo in televisione».

E così, alla vigilia della Prima Comunione, avevano deciso di portarlo in piazza San Pietro. Il Papa si era fermato e aveva avuto parole di grande affetto per quel bambino condannato dalla nascita a vivere su una sedia a rotelle e ad un’esistenza tutta in salita. Anzi, c’era stato anche un siparietto simpatico: Matteo Fratucello, quando il Papa si era piegato per abbracciarlo, gli aveva tolto la papalina. Avevano riso tutti. E mamma Sabine aveva deciso che, prima o poi, avrebbe trovato il modo di far rivivere a suo figlio quell’emozione.

Gli Yankees

È passato il tempo, Matteo, figlio unico e amatissimo, oggi ha 15 anni e frequenta le “Archimede”. Mamma Sabine ha cominciato a parlarne con i genitori degli Yankees in autunno.

«Tutti d’accordo - racconta -: la difficoltà era fissare la data a causa di un intervento importante al quale Matteo doveva sottoporsi, a Milano».

Il 5 febbraio è entrato in sala operatoria all’Istituto clinico Humanitas. Quelle che sono seguite sono state giornate difficili, cariche di dolore e paura. Nelle quali Matteo ha avuto a fianco oltre ai genitori e ai medici, i compagni della IIA delle Archimede, che non hanno mai lasciato solo quel compagno meno fortunato.

«E quando in casa ci sono loro - racconta Sabine che da quando suo figlio era piccolo ha creato le premesse perché possa fare tutto o quasi, quello che fanno i suoi compagni - mio figlio non si lamenta per il dolore che, in certi momenti, lo tormenta giorno e notte».

Appena il ragazzino ha cominciato a stare un po’ meglio, Sabine è partita con l’organizzazione della trasferta romana. Ha raccolto innanzitutto le adesioni: 14 Yankee, tra ragazzini e ragazzine dai 10 ai 19 anni, e 26 accompagnatori, tra genitori e nonni.

Ma come si faceva ad arrivare “fino” dal Papa con un gruppo di 40 persone, di cui qualcuno in sedia a rotelle?

Il viaggio

Sabine si è ricordata di una persona conosciuta nelle lunghe giornate passate in ospedale a Milano e l’ha contattata. Inviandole anche la lettera, da consegnare al Papa, in cui gli Yankees esprimevano il desiderio di incontrarlo.

A quel punto tutto è diventato più facile: il gruppo è partito martedì scorso con il treno delle 6.41 ed ha trovato alloggio da suor Pilar. La sera, la cena alla Trattoria Degli Amici, dove ragazzi con la sindrome di Down hanno un contratto di lavoro a tempo indeterminato.

La mattina dopo la sveglia è suonata all’alba.

«In Vaticano abbiamo avuto il privilegio di entrare da un ingresso secondario e solitamente usato da Papa Francesco. Percorsi pochi metri ci siamo ritrovati in Piazza San Pietro, con il cuore a mille per l’emozione».

Il Papa

Tutti i ragazzi con un genitore sono stati fatti accomodare nel reparto di San Paolo, dove non c’è alcuna transenna. Il resto del gruppo si è fermato in mezzo alla folla.

Ha iniziato a piovigginare; poi la pioggia si è fatta più intensa, ma il desiderio di incontrare Papa Francesco era più forte delle bizze meteorologiche.

Terminata l’omelia il pontefice è sceso verso il gruppo arrivato da Bolzano: aveva letto la loro lettera, sapeva chi erano.

Quello che è seguito è stato un simpatico scambio di battute e gesti di calore umano tra Bergoglio e quei ragazzini con i quali la vita è stata piuttosto avara.

«Erano tutti molto emozionati e ancora di più lo erano i genitori: è stata una giornata indimenticabile».

Il merito di aver organizzato queste due giornate romane - anche se non se lo vuol sentir dire - è di Sabine, una donna tosta. Che quando è nato suo figlio ha saputo subito che nulla sarebbe stato facile.

«Potevo arrendermi e piangermi addosso, ma non sarebbe cambiato nulla, anzi. Ho cercato di reagire».

Questa è la sua “lezione” anche quando parla ai compagni di classe di Matteo: «Se nella vita le cose non andranno per il verso giusto, non arrendetevi. Trovate il coraggio di reagire. Sempre».

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