La notte dei fuochi: quei quaranta attentati che scossero Bolzano

Accadde cinquant'anni fa: a giugno un convegno Ecco i fatti che precedettero la «Feuernacht»


Paolo Cagnan


Trentadue anni di guerriglia, dal 20 settembre del 1956 al 30 ottobre del 1988: 361 attentati con esplosivi, raffiche di mitra e mine antiuomo. Ventuno morti, di cui 15 rappresentanti delle forze dell'ordine, due cittadini comuni e quattro terroristi, dilaniati dagli ordigni che loro stessi stavano predisponendo. E poi 57 feriti: 24 fra le forze dell'ordine, 33 fra i privati cittadini. Sono le cifre ufficiali del terrorismo in Alto Adige. Diciassette le sentenze passate in giudicato: la magistratura italiana ha condannato 157 persone, di cui 103 sudtirolesi, 40 austriaci e 14 germanici della Repubblica federale. Quest'anno, la ricorrenza dei 50 anni dalla notte dei fuochi (giugno 1961) riaccende tensioni, ma anche analisi storiche. Ecco una sintesi degli avvenimenti che precedettero quei fatti.  IL GRUPPO STIELER.  Il primo attentato avviene il 20 settembre del 1956: a cadere sotto i colpi della dinamite è un traliccio nelle campagne di Settequerce. Nelle settimane successive, altre esplosioni a Bressanone e nella Val d'Ultimo. Il 4 gennaio del 1957, nel mirino finisce per la prima volta la linea ferroviaria. La polizia non impiegherà molto a scoprire i responsabili: un gruppo di sudtirolesi intenzionati a richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica internazionale sull'Alto Adige e capeggiati da Hans Stieler, tipografo del «Dolomiten». Friedl Volgger, condirettore del giornale e vicepresidente della Svp, viene additato come il finanziatore: un'accusa mai provata. Il "gruppo Stieler" sarà processato e condannato alla fine del 1957.  NASCE IL BAS.  Il Befreiungsauschuss Südtirol", ovvero il Fronte di liberazione del Südtirol, Bas in sigla, muove i suoi primi passi nella primavera del 1956. Franz Kerschbaumer, un commerciante di Appiano, dà il via ad un'intesa attività propagandistica. Vuole reclutare sudtirolesi pronti a lottare per ottenere la riannessione all'Austria. Al raduno di Castelfirmiano, il 17 novembre del 1957, il Bas farà la sua prima comparsa ufficiale con un volantinaggio. I primi seguaci sono contadini, maestri, artigiani, giovani. Cinque giorni dopo il «Los von Trient» lanciato da Magnago, a Montagna salta per aria la tomba del senatore Ettore Tolomei, il padre della toponomastica italiana dell'era fascista. Altri attentati seguiranno. Il Bas si organizza e conquista nuovi proseliti. Il gruppo si divide in cellule, ogni cellula ha il suo responsabile: Karl Vinatzer per la Bassa Atesina, Luis Amplatz per Bolzano, Jörg Pircher per la zona di Lana, Karl Tietscher per la Val Pusteria, Franz Muther per la Venosta, Georg Klotz per la Passiria, Anton Gostner per Bressanone.  Il 1960 è un anno di intensa preparazione, ma con i primi piani operativi nascono anche i primi contrasti. Kerschbaumer punta molto sulla propaganda ma pensa anche ad attentati dimostrativi. Klotz spinge invece verso una radicalizzazione della protesta anti-italiana. Ha di fronte a sé le guerre di liberazione di Cipro e dell'Algeria, vorrebbe costituire al più presto diversi gruppi di guerriglia ed arruolare gente pronta ad intraprendere una vera e propria guerra partigiana. Intanto, all'Onu è in corso il dibattito sull'Alto Adige.  APPOGGI DA VIENNA.  A Innsbruck, anche i circoli irredentisti legati agli ambienti universitari sono pronti a muoversi. Franz Gschnitzer fonda il Bergisel Bund - Bib in sigla - e arruola esponenti politici di primo piano e di tutti i partiti, fra cui il leader della Övp del Tirolo Alois Oberhammer ed Eduard Widmoser. Il Bib spinge per la riunificazione del Tirolo e pensa ad una protesta spettacolare ma incruenta, che porti la questione altoatesina al centro dell'attenzione mondiale. Nel frattempo, continua lo stillicidio degli attentati. Il 29 gennaio del 1960 viene colpita la statua equestre di Mussolini a Ponte Gardena, ma il Bas non ne sa niente: la bomba è stata piazzata dal gruppo di Innsbruck, all'insaputa di Kerschbaumer e compagni. Il primo attentato del 1961 colpisce a Gleno di Montagna la villa di Ettore Tolomei. Poi tocca alle case popolari a Bolzano, un bar gestito da italiani a Termeno, la caserma della Finanza a Silandro, una condotta a Marlengo. La polizia già sospetta che a finanziare i terroristi sia il Bib. Intanto, il 29 aprile, al Brennero viene fermata Viktoria Stadlmayer, l'archivio vivente della questione altoatesina, membro del Bib e funzionario del Governo regionale tirolese, accusata di propaganda anti-italiana, arrestata ma poi prosciolta in istruttoria.  Il primo giugno, i vertici del Bas e del Bib si ritrovano in territorio neutro, a Zernez in Svizzera. Ci sono Alois Oberhammer, Wolfgang Pfaundler, Eduard Widmoser e Kurt Welser del Bib, Georg Klotz e Luis Amplatz del Bas. Dalla riunione segreta di Zernez scaturisce quella che sarà poi definita "notte dei fuochi". Ogni capogruppo stabilisce gli obiettivi e pianifica meticolosamente gli attentati. Gli esplosivi arrivano dall'Austria.  LA NOTTE DEI FUOCHI.  Fra l'11 e il 12 giugno 1961, giorno del Sacro Cuore di Gesù, l'Alto Adige conosce la sua notte più buia. Trentasette attentati, di cui una ventina a Bolzano e nei dintorni. Saltano in aria decine di tralicci, il capoluogo precipita nell'oscurità. Ma si registra anche la prima vittima: Giovanni Postal, stradino di Salorno che stava cercando di disinnescare un ordigno. Qualcuno sospetta che il controspionaggio italiano sia stato avvertito per tempo, ma che non abbia fatto nulla per prevenire le azioni dei sabotatori. Il generale Aldo Beolchini, comandante del IV corpo d'armata, aveva informato i vertici dell'esercito del rischio di un'ondata di violenza senza precedenti ma era stato trasferito pochi giorni prima della notte dei fuochi. La reazione alle bombe dell'11 giugno è direttamente proporzionale alla portata dell'avvenimento. Per la prima volta, la Svp si schiera apertamente e senza riserve contro i dinamitardi. Lo Stato italiano, da parte sua, teme una vera e propria guerra civile e mostra i muscoli. A Bolzano, sette alberghi vengono requisiti e trasformati in caserme, arrivano i battaglioni mobili, viene creata la scuola per allievi agenti di polizia. Il ministro dell'Interno Scelba spara ad alzo zero sulla Svp, il presidente del consiglio Fanfani impone il coprifuoco e l'obbligo del visto d'ingresso per gli austriaci che vogliono entrare in Alto Adige.  LE CATTURE.  Centinaia di poliziotti e carabinieri danno la caccia giorno e notte ai terroristi. I risultati, complici alcune ingenuità dei dinamitardi, non tardano a venire. Franz Muther, tra i primi arrestati, farà saltare la cellula venostana. Ogni sudtirolese finito in carcere farà nomi nuovi. Quasi 150 presunti attentatori finiranno in carcere nel giro di poche settimane. Georg Klotz, Luis Amplatz, Siegfried Steger, Sepp Forer e Siegfried Carli riusciranno a fuggire in Austria.  Confessioni ottenute grazie alle torture? La polemica è vivissima anche oggi. Gli storici sono concordi nel sostenere la tesi della «mano pesante» dello Stato: mezzo secolo fa, l'Arma disse che i terroristi si erano procurati da soli le ferite - ma alcuni morirono, tra loro Toni Gostner poi elevato a martire - al solo scopo di screditare l'Italia. E il generale De Lorenzo encomiò dieci carabinieri, finiti a processo per maltrattamenti e sevizie: otto assolti, due amnistiati.













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