Mayr-Nusser beato, il percorso difficile (e lento) della Chiesa

Ieri la messa in suffragio. Il postulatore Innerhofer: ci sono voluti anni per superare imbarazzi e silenzi sul nazismo


di Paolo Campostrini


BOLZANO. Josef Mayr Nusser ci è finalmente entrato in Duomo. Il viso sorridente e gentile accanto alla sua Hidergard, in abito da sposa, e poi felice mentre stringe Albert, appena nato. Solo due foto, in bianco e nero. Ma grandi quasi quanto l'altare. Ecco come ci è entrato in Duomo Mayr Nusser.

Lì, davanti a tutti, durante la messa in suffragio celebrata ieri mattina. E lì resterà fino al giorno della sua beatificazione, il 18 marzo.

«È stata un'avventura portarlo agli altari - dice don Joseph Innerhofer - ma un'avventura non solo umana, soprattutto spirituale...». Lui, don Joseph, è il postulatore. L'uomo che bussa a tutte le porte e chiede ragione di una vita da santificare. Scova documenti, domanda, fruga negli archivi alla ricerca di conferme o magari di possibili smentite. Nella messa in suffragio al suo prossimo beato che la diocesi ha voluto allestire ieri, il postulatore c'era, eccome se c'era. Accanto agli officianti, guidati dall'abate di Novacella, Eduard Fischnaller, copricapo rosso vescovile come da tradizione antica che guarda ai conventi come a vere diocesi.

Assente il vescovo Ivo Muser, in viaggio in Carinzia, erano in quattro con lui vicino all'altare. Seduto al primo banco, il figlio di Mayr Nusser, Albert. E nonostante l'ora molto mattutina molti anche i fedeli in chiesa.

Ha parlato chiaro don Fischnaller. Nazionalsocialismo, totalitarismi da combattere e a cui opporsi. E i tre punti, come dei fari nella notte, che hanno guidato Mayr Nusser fin dal giorno dell'arrivo dei nazisti a Bolzano, dopo l'8 settembre e l'instaurazione dell'Alpenvorland, il piccolo principato alpino del Gauleiter Hofer: mentre scattava la leva obbligatoria per i sudtirolesi e il conseguente giuramento a Hitler «lui restava fedele all'amore di Dio, alla fiducia in Dio e al cammino verso Gesù» come ha scandito nell'omelia.

Il giuramento, Mayr Nusser, l'aveva già fatto. Con Dio. Non vedeva ragione di farne un'altro a un piccolo caporale austriaco. «Anche perché - e qui don Innerhofer svela alcuni aspetti delle sue ricerche da postulatore - Joseph sapeva cosa aveva portato il nazismo. Lo sapeva perché era sempre rimasto in contatto con i suoi corrispondenti della gioventù cattolica di Düsseldorf. Aveva avuto conferme delle persecuzioni contro i disabili, contro gli ebrei. Anche contro i cattolici. Dunque si è opposto "anche" perché sapeva». Ma sapeva anche cosa avrebbe comportato quella sua opposizione, ecco il punto, il "no" che si apprestava a pronunciare: una vendetta senza pietà alcuna.

Forse non sapeva che sarebbe morto - per le conseguenze delle botte subite, della fame e della sete -in un vagone bestiame vicino a Erlangen, il 24 febbraio del 1945, mentre veniva condotto nel lager di eliminazione a Dachau. Ma probabilmente, in cuor suo, sapeva che non sarebbe più tornato a Stella del Renon dove si sarebbe dovuta celebrare la sua messa, ieri, e non lo si è fatto solo perché la chiesa è in ristrutturazione. Verrà il cardinale Amato a Bolzano, tra tre settimane. Perché il Papa così ha voluto. Francesco e anche gli altri prima di lui. Perché il percorso verso la beatificazione è stato lungo. Prima per i silenzi. E anche i pudori. «Una intera generazione di sudtirolesi aveva risposto alla chiamata di Hitler - dice don Joseph - e vedere che un cattolico, come tutti noi allora, non lo aveva fatto, lasciava spazio all'imbarazzo. Mostrava la distanza tra l'eroismo cristiano e la difficile storia degli uomini».

Ma difficile è stato anche il percorso burocratico.

«Anche se tutti i nostri vescovi, da Egger a Golser a Ivo, oggi, e tutta la comunità diocesana ha sempre spinto». Ricorda questo percorso, don Innerhofer, appoggiato ai banchi della sacrestia del duomo: «Golser non me ne ha parlato per un anno, di Nusser. Era molto concentrato su Freinademetz. Allora ci ho parlato io: che si fa? gli ho detto. E lui ha accelerato come solo lui poteva fare con i suoi contatti romani».

E allora, racconta ancora il postulatore, "abbiamo tirato fuori la pratica, prendendola da sotto la pila delle altre e mettendola in cima... Come si usa fare...". Perché anche in curia va così, a volte. Serve una mano umana oltre che divina.

©RIPRODUZIONE RISERVATA













Altre notizie

Attualità