«Mi ha abbracciata e baciata per poi rubarmi il bracciale» 

Il racconto di Stella Barbato, 93 anni, scippata due settimane fa in corso Libertà «Lo portavo sempre, perché quello era un regalo di mio marito che non c’è più»


di Antonella Mattioli


BOLZANO. «Carissima, che piacere rivederti! E mentre mi abbracciava e mi baciava, mi ha sfilato il braccialetto d’oro. Era un regalo di mio marito che è morto ormai da anni. Da quando lui non c’è più, mi ero abituata ad accarezzare quel bracciale prima di addormentarmi con un saluto: “Buona notte Rino”». Sono passati esattamente quindici giorni da quel sabato mattina in cui è stata scippata e Stella Barbato, 93 anni veneziana d’origine e bolzanina di adozione, ha ancora davanti quella donna sui 35-40 anni, capelli biondo-castani, che mentre lei stava camminando sul marciapiede di corso Libertà, tenendosi stretta alle maniglie del girello, le è venuta incontro con la scusa di salutare una cara amica.

Lo scippo. «È successo tutto nello spazio di un attimo. Quando ho capito che mi stava rubando il braccialetto, ho cominciato ad urlare: “Ladra, ladra”. Lei però è stata velocissima: in tre balzi era dall’altra parte della strada, dove c’era un uomo che la stava aspettando in macchina (una Toyota Yaris, ndr). È arrivata subito la polizia che ha raccolto la mia denuncia e la testimonianza di una coppia di giovani che ha assistito allo scippo. Mi dispiace perché, dopo quello che è mi successo, sono diventata diffidente: adesso se qualcuno che non riconosco subito mi si avvicina con fare troppo cordiale, sto molto attenta».

Nonostante lo spavento però, Stella Barbato non ha perso le buone abitudini e ogni sabato parte col suo girello dal “Grieserhof” di via Cologna, dove si è trasferita il 21 dicembre dello scorso anno, e risale corso Libertà, per andare a comprare il settimanale “Oggi” all’edicola (vicino al Despar) della sua amica Katy e poi si ferma al bar con qualche conoscente di vecchia data.

«Ho vissuto in via della Zecca 51 anni - racconta -: quello è stato il mio mondo fino al maggio dello scorso anno, quando sono scivolata in casa e mi sono fratturata la dodicesima vertebra. Quel giorno ho capito che non avrei mai più potuto vivere da sola. Dopo il ricovero in ospedale, sono stata nelle case di riposo di Cortaccia, a Villa Serena, poi a Egna e di nuovo a Bolzano, in via della Roggia. Fino a quando Cristina, la figlia di amici che ho visto nascere e mi aiuta nel disbrigo di una serie di cose pratiche, mi ha detto che si era liberato un posto al Grieserhof: ho una stanza col bagno tutta per me. Qui ho fatto amicizie e mi trovo molto bene: questa adesso è la mia nuova casa».

Nonostante l’anagrafe e qualche acciacco al quale si è aggiunto il bruttissimo episodio di cui è rimasta vittima due settimane fa, Stella non ha perso ottimismo (che spiega almeno in parte la longevità) e verve.

Le origini. La sua storia è simile, almeno in parte, a quella di tanti bolzanini arrivati in Alto Adige da Pola. «Mio padre era in Marina e con la famiglia ci eravamo trasferiti lì. Giovanissima avevo cominciato a lavorare in ospedale, dove avevo conosciuto il direttore che aveva deciso di venire a Bolzano: voleva aprire una clinica. Non realizzò mai quel progetto e si limitò ad aprire un ambulatorio in via Grappoli. Con la scusa che ero un’amica di famiglia, non guadagnavo praticamente niente e così ho seguito il consiglio dei miei genitori: sono tornata a Venezia e ho conseguito prima il diploma di infermiera professionale, poi quello per le funzioni direttive. Alcuni anni dopo, ho vinto il concorso a Bolzano e ho lavorato per 30 anni nel reparto di Chirurgia infantile del vecchio ospedale».

Il regalo. È lì che ha conosciuto quello che sarebbe diventato poi suo marito: Rino Lenisa, vice capo delle cucine. Il bracciale che le hanno rubato in corso Libertà era un suo regalo: «Ricordo ancora il giorno in cui sono arrivata al lavoro e il portiere mi ha detto che c’era un pacchettino da parte di mio marito. Probabilmente - dice ridendo - doveva farsi perdonare qualcosa. Tanto che non volevo neppure prenderlo; ma il portiere aveva insistito e alla fine avevo accettato. A distanza di tanti anni, quel bracciale era diventato per me un ricordo importante che, soprattutto la sera, mi faceva sentire un po’ meno sola».















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Valeria Frangipane

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