I flussi dalle valli povere del Trentino, i rapporti con la popolazione tedesca: intervista a Giorgio Delle Donne

Quando gli immigrati erano gli italiani

All'epoca dell'unità d'Italia si crearono in Alto Adige le prime comunità significative


Marco Rizza


Nel 1861 si realizzava l'unità nazionale con la nascita del Regno d'Italia, anche se ampie porzioni del territorio nazionale sarebbero state inglobate in realtà solo negli anni successivi (1866, 1870, e poi dopo la prima guerra mondiale). All'epoca dell'Unità, ciò che oggi chiamiamo Alto Adige faceva ancora parte del Tirolo, e tale sarebbe rimasto appunto fino all'indomani della Grande Guerra. Esisteva, negli anni dell'unità d'Italia, una comunità significativa di lingua italiana nell'attuale provincia di Bolzano? E cosa pensava del processo di unificazione in corso al di là del confine meridionale? Ne parliamo con Giorgio Delle Donne, storico e autore di numerose ricerche sugli italiani in Alto Adige. Quello che emerge è che proprio negli anni Sessanta, mentre cioè l'Italia si univa, aveva luogo la prima immigrazione di rilievo di italiani in questa terra. «In realtà - dice Delle Donne - dovremmo dire "italiani" con le virgolette, perché si trattava di trentini, ossia di persone che parlavano italiano ma che erano sudditi dell'Impero asburgico, ben distinti dai "regnicoli", come si chiamavano allora gli italiani del Regno».  Questa prima ondata migratoria avviene in tre fasi. «La prima, proprio negli anni Sessanta, è l'ondata di operai chiamati per costruire la ferrovia del Brennero. Arrivano per lavorare, poi molti di loro trovano casa proprio lungo l'asse del Brennero e ci si trasferiscono con le proprie famiglie. La seconda fase, più o meno contemporanea, riguarda invece la Bassa Atesina ed è la più consistente. Qui diversi imprenditori trentini comprano terreni paludosi a prezzi bassissimi e li danno a contadini anch'essi trentini col sistema dell'enfiteusi: chi coltiva la terra non paga canoni ma in cambio deve restituire il terreno dopo un certo periodo in condizioni migliori di come l'aveva preso. È così ad esempio che arrivano gli imprenditori Miori a Vadena (un loro discendente sarà il famoso podestà Luciano Miori, il primo pienamente altoatesino) o i Salvadori Crivelli a Magrè e Cortina (da cui discenderà ad esempio don Jimmy Baldo, oggi sacerdote a Bolzano)». La terza fase immigratoria, prosegue Delle Donne, «riguarda invece la costruzione dei grandi alberghi a Merano, che avviene tra gli anni Settanta e Ottanta. Anche in quel caso la manodopera (artigiani, muratori ecc.) è trentina: i tanti Frasnelli o Flor che oggi ci sono a Merano vengono da lì...». A Bolzano invece la popolazione italiana è costituita di commercianti e si concentra in particolare ai Piani e a Oltrisarco (altra zona paludosa bonificata).  Difficile dire cosa questi primi «italiani dell'Alto Adige» pensassero dell'unità d'Italia in corso a poche decine di chilometri. Sicuramente la maggior parte di loro - operai, contadini, piccoli artigiani - non aveva grande consapevolezza politica. Ma non c'è solo questo: il sentimento di appartenenza nazionale è una faccenda complessa. Ancora Delle Donne: «Possiamo citare un caso di alcuni decenni dopo. Nel 1912 Tolomei scrive che la maggior parte dei primi 100 nati di quell'anno a Bolzano avevano un nome italiano. Sono andato a controllare negli archivi e ho scoperto che non era una sua sparata propagandistica: era proprio così. Poi però sono andato anche a controllare che scelta queste persone avessero fatto quando, nel 1939, si sono presentate le Opzioni: ebbene, la maggior parte di loro (per quello che si può ricostruire) scelse la Germania. Ciò significa che parlare italiano e sentirsi italiani non sempre coincide». E questo doveva valere tanto più per i primi trentini-tirolesi stanziatisi in Alto Adige.  Un altro aspetto interessante di questa prima fase di immigrazione italiana in Alto Adige riguarda le sue modalità: non troppo diverse dai fenomeni di immigrazione che osserviamo oggi. «All'inizio - prosegue Delle Donne - arriva il maschio della famiglia per lavori temporanei. Proviene da zone povere: nel caso dei contadini della Bassa sono per lo più originari della val di Cembra, mentre nel caso della manodopera meranese si tratta di originari della val di Non. I più intraprendenti di loro trovano lavori più stabili e quindi si trasferiscono con la famiglia. L'uomo lavora e diventa bilingue; la donna sta in casa e quindi resta solo monolingue. I figli crescono nella società in cui sono nati e quindi presto si "tedeschizzano". Per questo Tolomei a fine Ottocento parla degli altoatesini come "italiani recentemente tedeschizzati": sbaglia a generalizzare, ma in Bassa le cose sono andate proprio così».  Il rapporto tra Alto Adige e trentini proseguirà anche nei decenni successivi: «Quando Mussolini negli anni Venti decide di italianizzare l'Alto Adige - conclude Delle Donne - si rivolge inizialmente ai trentini perché conoscevano le leggi austriache ancora in vigore: arrivano così insegnanti, giudici, funzionari. Ma dopo poco si accorge che la strategia è completamente sbagliata: manda questi trentini "a fare un bagno di italianità», come dirà, e porta a Bolzano italiani dalle altre regioni: sarà la prima vera "italianizzazione" della provincia».  

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