Roberto De Martin nel Cai per sempre «La vera montagna è polifonica» 

Il personaggio. È il primo altoatesino di lingua italiana  a diventare consigliere onorario del Club Alpino Italiano,  che ha guidato fino a qualche anno fa


Alberto Faustini


Bolzano. Partiamo dalla fine: per la prima volta - è notizia di ieri - un altoatesino di lingua italiana - Roberto De Martin - diventa socio onorario del Cai nazionale. Una consacrazione per chi ha dedicato alla montagna - che in fondo ha in parte “abitato” nei vari ruoli pubblici e professionali che lei ha ricoperto - l’intera vita.

«Sono lieto della sottolineatura “per la prima volta un altoatesino di lingua italiana”. Quando l’allora sindaco di Bressanone, Klaus Seebacher, organizzò un incontro per festeggiare la nomina a Presidente generale del CAI colsi l’occasione per dire che in Provincia non dobbiamo rassegnarci al ruolo di secondi. Disperderemmo un potenziale di talenti che solo nell’incontro di pari livello può diventare fertile. Ricordo che in quell’occasione era presente anche Christian Smekal, Presidente del club alpino austriaco e rettore dell’università di Innsbruck».

Lei è stato presidente nazionale del Cai, altra cosa che non era mai successa a un altoatesino, e non sono davvero molti i soci onorari: Messner, qualche trentino e... Roberto De Martin.

Mi sembra anche una indicazione di attenzione nazionale rispetto alla nostra terra e al ruolo svolto con onore nei decenni passati quando nello zaino il peso per la manutenzione delle opere alpine gravava forzatamente su un numero di soci numericamente ridotto. Ciò portò però ad uno spirito di solidarietà e di dedizione notevole. Ne è un simbolo la fotografia che l’attuale presidente generale, Vincenzo Torti, ha nell’ufficio di Milano. Documenta un socio del CAI di Vipiteno che porta sulle spalle la cucina destinata al rifugio che era sotto il Gran Pilastro.

Ma mi faccia capire meglio. Sembra un po’ Picasso. C’è il periodo altoatesino tra Merano, Brunico e Bressanone (l’infanzia, l’adolescenza), il periodo genovese (la laurea in giurisprudenza), il periodo bellunese (da direttore di confindustria), il periodo mantovano (sempre alla guida di Confindustria), il periodo bolzanino (sempre con incarichi legati a Confindustria), il periodo alla guida di diverse aziende, il periodo nazionale e internazionale (la filiera del legno, il salone del mobile, il Cnel...). Mi parli un po’ di lei. A proposito: sulla sua carta d’identità però c’è scritto che è nato a Corteno Golgi, paesello bresciano.

Paese di montagna che si trova in Val Camonica tra Edolo e l’Aprica, unite oggi anche dal sentiero Frassati della Lombardia. Camillo Golgi era stato il primo premio Nobel italiano per la medicina agli inizi del novecento come studioso dei gangli del cervello, scienziato dell’università di Pavia che non dimenticò mai il paese natale: non a caso l’amministrazione comunale volle aggiungere il suo nome a quello originario.

Ma quando nasce l’amore per la montagna?

Soprattutto nelle estati trascorse sotto le crode del Cadore, assieme ai parenti paterni che facevano la fienagione sui prati alti, quelli che davano un fieno forte per bovini e per i cavalli che erano ancora utilizzati come animali da soma. In Alto Adige ricordo poi la straordinaria meraviglia sbocciata quando vidi per la prima volta l’Alpe di Siusi. Del resto il geografo Guichonnet ha sostenuto che noi delle Alpi Orientali siamo fortunati perché abbiamo gli altipiani che incrociano linee verticali con linee orizzontali arrivando a dare più luce, più fascino, più opportunità di coltivazioni.

La cosa che mi incuriosisce è che lei è sempre stato un uomo di progetti, di montagna che genera idee, iniziative, suggestioni.

Spero di continuare ad esserlo anche perché lo statuto del CAI consente la presenza dei past president ai consigli con diritto di parola e non di voto.

Al Filmfestival di Trento cos’ha portato?

Certamente fedeltà alla volontà dei soci fondatori che nel lontano 1952 l’hanno voluto internazionale. Gli ultimi arrivi all’Alliance fra la trentina di film festival di montagna provengono da continenti diversi: Asia (Corea del Sud), Oceania (Nuova Zelanda), America (Stati Uniti), Europa (Romania). Proprio il ruolo che ha avuto Trento nel far decollare bene il festival coreano – sottolineato da Reinhold Messner sui giornali – convalida l’analisi competitiva e preventiva svolta dai coreani in base a cui ci hanno definito come il Film Festival che meglio ha saputo valorizzare la cultura di montagna.

E quanto è importante l’apertura (o lo sconfinamento?) a Bolzano?

Non lo chiamerei sconfinamento! Da presidente del CAI andai dal sindaco Salghetti per argomentare che Bolzano e Trento in campo alpinistico dovevano avvicinarsi e cooperare. Notavo già allora l’interesse della stampa tedesca e dell’AVS verso il Trento Filmfestival. Siamo ora sulla strada buona ed è indimenticabile l’apertura dell’edizione bolzanina fatta da Erich Abram – socio onorario del Film Festival e del CAI – pochi mesi prima della sua dipartita.

E la sua presidenza nazionale del Cai per cosa va ricordata?

Gli alpinisti per il lancio del premio Paolo Consiglio; gli escursionisti per il Camminaitalia del 1995 e per la realizzazione dei venti sentieri Frassati; gli ambientalisti per aver riportato il camoscio al Gran Sasso; i soci per l’acquisto della sede nazionale diventata casa comune per CAI, Soccorso Alpino e Speleologico, Guide Alpine; per il gruppo dirigente per la fondazione del Club Arc Aplin.

E il sentiero Italia? È un tema di cui si torna a parlare molto di questi tempi.

Il Sentiero Italia CAI ha la funzione di ricordare a tutti che c’è una montagna minore da conoscere e da salvaguardare. Sono lieto che in Alto Adige ci saranno tredici tappe e che sia previsto un rilancio importante con una manifestazione il 7 Settembre collegata al decennale del riconoscimento Unesco alla Dolomiti.

L’importanza della divulgazione, della comunicazione, del continuo dialogo che lei ha sollecitato fra mondi diversi, mondi che spesso nemmeno si parlavano. E il suo impegno che continua: alla guida di premi letterari e di altre realtà interessanti.

Sono convinto che approfondendo la reciproca conoscenza ogni mondo possa arrivare a scoprire le menti in grado di creare giochi a somma positiva.

Ma posso chiederle se c’è una sua montagna? Un luogo preferito? Un mondo come dovrebbe essere?

Civetta - dice quasi sussurrando Roberto De Martin -: con le sue pareti a canna d’organo che rimandano allo splendido disegno di Dino Buzzati con piazza Duomo a Milano trasformata in un grande prato e guglie dolomitiche di sfondo.

Posso chiederle di Jovanotti? Il suo concerto già divide, ma forse è venuto il tempo di parlare di montagne e non di montagna. Alcuni concetti, se si vuole abitare il futuro, vanno declinati al plurale, non trova?

Condivido la sua osservazione che può ritrovare in uno scritto anticipatore di cinque lustri fa. Nella prefazione alla guida Monti CAI-TCI sulle Alpi pusteresi. Quell’intervento scritto e condiviso da Giancarlo Lunati, era stato steso proprio il giorno di presenza di Zucchero a Plan di Corones.

Vorrei anche parlare con lei di come è cambiata la montagna - intesa come luogo, ma anche dal punto di vista immaginario - nel mondo. Lei è stato nella convenzione della alpi, ha guidato il club Arc Alpin.

La visione della montagna pare spesso ridimensionata per non dire sminuita. Basterebbe guardare alla folla di scalatori che fanno la fila verso la cima dell’Everest. Ma questa è impressione superficiale. Se uno leggesse solo alcuni dei volumi esaminati ogni anno dalle giurie dei premi ITAS, Rigoni Stern e Mazzotti si convincerebbe che la montagna è tuttora polifonica con tanto da scoprire ed esplorare. Anche vicino a noi.

Mi scusi: ma quanti anni ha? Come può aver fatto tutte queste cose in una vita? E... cosa significa - al di là dell’immensa soddisfazione personale che posso intuire - essere socio onorario del Cai?

Il prossimo agosto sono settantacinque! E le posso dire in tutta coscienza che il CAI è un mondo vitale, in crescita anche in questi anni. E un socio onorario deve sentirsi garante di questa rete interpersonale e intergenerazionale. Lo definirei passaggio tacito dei valori di cui la montagna è sorgente fra diverse generazioni: un patrimonio importante da salvaguardare.

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