Steurer: sul nazismo c'è l'oblio

«La ricerca deve incidere sulla società in cui viviamo»


Marco Rizza


Ha appena curato (insieme a Günther Pallaver) un libro sulle Opzioni. Per il futuro, dice, ha molti progetti in testa: «In particolare nel 2011 vorrei scrivere sui 50 anni sulla Feuernacht - dice -. Voglio continuare a fare storiografia impegnata. Non mi interessano le ricerche asettiche, lette solo dagli addetti ai lavori». Parla Leopold Steurer, uno degli storici sudtirolesi che dagli anni Ottanta ha cambiato il modo di fare storia in Alto Adige. Vipitenese, classe 1946 (coetaneo e compaesano di Alex Langer), non rinuncia all'idea che la storia «deve essere scientifica ma non neutra, deve mirare ad incidere sulla società».  Che taglio avrà la ricerca sulla Notte dei Fuochi?  Vorrei tracciare la continuità tra volontari di guerra sudtirolesi con la Wehrmacht del 1939 (spesso pluridecorati, a volte prima indottrinati nei Ns-Schulung Kurse), poi padri fondatori dello Schützenbund nel 1958-59, e infine bombaroli. Ho raccolto due dozzine di biografie di questo tipo. Georg Klotz ne è un prototipo. I bombaroli del 1961 non erano "sudtirolesi medi", o non tutti: molti avevano un humus culturale che affondava le radici nel nazismo.  Di rapporto tra sudtirolesi e nazismo ha parlato anche nell'ultimo libro sulle Opzioni. Non teme l'accusa di essere un Nestbeschmutzer, un traditore?  Mah, una volta era molto peggio. Negli anni Ottanta venivamo attaccati con durezza per le nostre posizioni. Oggi la strategia è cambiata, preferiscono ignorarci.  Nel volume sulle Opzioni ha pubblicato un interessante documento antihitleriano di Heinrich Mann. Ci sono altri testi inediti in quei saggi?  Da parte mia c'è un contributo su un documento finora sconosciuto, una lettera di Himmler al suo braccio destro Ulrich Greifelt della primavera del 1938, che dimostra come già in quell'anno fosse pianificata la «Um- und Rücksiedlung» di tutti i tedeschi d'Europa verso il Terzo Reich. Perché? Perché la Germania aveva bisogno di forza lavoro in vista del Piano quadriennale. E per riempire questo buco Greifelt pensa di portare nel Reich i tedeschi del resto d'Europa. Un altro aspetto nuovo che indago sono le opzioni dei giovani volontari di guerra.  Di che si tratta?  I sudtirolesi che nel 1939 facevano il servizio di leva o stavano per farlo. Il Völkischer Kampfring Südtirols organizza nel settembre e ottobre, a guerra appena iniziata, le opzioni nelle caserme italiane. Tra ottobre e dicembre 2500 giovani sudtirolesi decidono di passare dall'esercito italiano a quello tedesco, come volontari. Trasferendosi in Germania si portano dietro le famiglie, e questo spesso prima delle Opzioni vere e proprie, che in Alto Adige iniziano a fine ottobre. La slavina delle Opzioni parte da questa palla di neve, giovani militari che optano in massa per l'esercito tedesco. Il Vks fa leva sulle nuove generazioni, soprattutto giovani maschi che scelgono la Grande Germania per motivi ideologici. E quindi scelgono la Wehrmacht, anche perché l'alternativa era fare la guerra per Mussolini, il nemico italiano.  Il tema delle Opzioni è ancora una ferita aperta nella società sudtirolese?  Nei paesi si preferisce non parlarne. Anche perché la Svp nel suo proporsi come partito di raccolta tende a proiettare anche verso il passato questa comunità di popolo, quindi si preferisce tacere su quella guerra fraticida. Bisognerebbe parlare delle vittime del '43-'45 e di chi invece aveva il potere... Non è un caso se in tanti archivi comunali siano spariti tutti i documenti di quegli anni.  Quanto è stato elaborato nella comunità sudtirolese il rapporto avuto col nazismo?  I sudtirolesi fanno ancora fatica ad affrontare il tema. È cambiato qualcosa - anche grazie a libri come quello di Franz Thaler -, ma non abbastanza. All'indomani del 1945 è iniziata (e dura in parte tuttora) una vasta opera di riabilitazione culturale delle persone compromesse col nazismo, in nome dell'unità di popolo contro Roma. In generale è diffusa una visione manichea della storia di questa terra: tutto positivo prima del 1918, tutto negativo dopo.  E il rapporto degli italiani di oggi col passato fascista di questa terra, come lo vede? Ha preso piede una rilettura critica o ancora no?  Vedo passi avanti, soprattutto da parte delle istituzioni. La decisione delle autorità militari nel 1996 di non deporre più corone davanti al Monumento è stata importantissima. Però mi sembra che in una fetta degli italiani ci sia ancora l'idea che in fin dei conti sotto il fascismo tutti abbiano sofferto, che fossimo tutti nella stessa barca. Invece no, il fascismo verso le minoranze linguistiche è stato un'oppressione «in più» rispetto a quella esercitata sugli italiani. Questo troppo spesso si dimentica. E non solo questo.  Cos'altro?  Gli italiani, soprattutto nei decenni scorsi, dimenticavano troppo facilmente che la volontà politica dietro l'immigrazione italiana in Alto Adige fu proprio l'italianizzazione forzata di questa terra. Non certo gli operai della Zona, ma i funzionari statali avevano grossi privilegi qui, anche dopo il 1945. E questo gli italiani per decenni hanno finto di ignorarlo.  Cosa crede che si dovrebbe fare col Monumento?  Va lasciato lì, ma non con quel cancello e quelle targhette del tutto insufficienti. Bisogna inserirlo in un percorso storico in 4 tappe: Lager, piazza Tribunale, il Monumento e IV Corpo d'armata che ospitò la Gestapo. In nessuna parte d'Europa esiste un posto come l'Alto Adige dove fin dagli anni '30 si sono incontrate le due dittature sia come amici che come nemici. C'è una bellissima foto del '32 che celebra l'incontro tra una delegazione nazista e una fascista davanti al Monumento per il decennale della Marcia su Roma. Ma quasi contemporaneamente lo stesso fascismo inizia a bollare come «irredentista» l'attività dei giovani sudtirolesi nazisti. Insomma al fascismo il nazismo va bene in tutta Italia tranne che qui, e viceversa. E questo va avanti fino al 1945. Solo qui i nazisti potevano definirsi antifascisti e i fascisti definirsi antinazisti. Tutto questo si leggerebbe molto bene in quel percorso storico cittadino. Bolzano dovrebbe fare come Norimberga.  Perché Norimberga?  È stata uno dei simboli del nazismo, con le Reichsparteitage, le leggi razziali ecc. Poi il processo del '45-46. Insomma un passato pesantissimo. E proprio per questo ha deciso di proporsi come città della pace e dei diritti umani, con un bellissimo centro di documentazione e un convegno annuale molto importante. Per Bolzano sarebbe un modello perfetto.  Piazza Tribunale, alla quale ha accennato, è uno dei luoghi più controversi di Bolzano...  Il bassorilievo di Piffrader è perfetto per fare capire come la storia sia complessa, non semplice e lineare come vorrebbero quelli che ne danno una lettura solo etnica. Piffrader fece il monumento ai Kaiserjäger sul Bergisel ad Innsbruck, poi aderì al fascismo e fece quel bassorilievo, infine dopo la guerra fu eletto presidente del neonato Künstlerbund. La storia dell'Alto Adige è così: intricata.  

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