Toponomastica, il ruolo decisivodei partiti italiani


Francesco Palermo


Dovunque ci siano minoranze ci sono problemi con la toponomastica. Il portato simbolico, inevitabilmente artificiale, della denominazione dei luoghi è il topos ideale per l’affermazione del potere, della proprietà. Se una cosa è mia, ho il potere di disporne liberamente, e di chiamarla come voglio.
E se la proprietà è contesa, i nomi sono le bandiere (i cartelli) che si piantano per indicare la proprietà. Lo scontro in atto sulla segnaletica e, più in generale, sui nomi è un evidente tentativo di usucapione, ossia di acquistare la proprietà per effetto del possesso. Nulla di nuovo, è ciò che nella storia si è sempre fatto.
Il diritto è la corda che gli uomini hanno inventato nei momenti di lucidità per legarsi le mani nei momenti di follia. Il nostro sistema autonomistico è una corda particolarmente complessa e resistente, arricchita dal quadro costituzionale generale e dalle normative internazionali ed europee. Conviene allora ricordare alcuni punti fermi posti dall’ordinamento giuridico in questa materia, per avere un’idea di dove si potrà arrivare.
In ambito internazionale la preoccupazione è la salvaguardia del diritto della minoranza all’uso della propria toponomastica - mentre da noi il paradosso è che tutto ruota intorno alla tutela della toponomastica nella lingua della maggioranza. Tuttavia tutti i principali strumenti internazionali affermano il diritto alla bilinguità dei toponimi, ed è estremamente improbabile che qualunque rivendicazione volta a comprimere questo principio possa trovare ascolto in qualsivoglia sede internazionale.
Altrettanto improbabile è che, nella denegata ipotesi in cui lo scontro relativo alla toponomastica in Provincia di Bolzano dovesse continuare, l’Austria abbia la possibilità di far valere il suo ruolo di potenza tutrice, sia perché non si tratta di salvaguardare i diritti fondamentali della minoranza di lingua tedesca (giacché nessuno contesta il diritto alla toponomastica in quella lingua), sia perché l’Austria stessa è oggetto di ripetuti richiami internazionali per non essere in grado di garantire il diritto della sua minoranza slovena in Carinzia alla toponomastica bilingue, nonostante i chiari pronunciamenti della Corte costituzionale.

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Il diritto comparato offre soluzioni estremamente variegate. Questo perché la rilevanza della toponomastica nella soluzione dei problemi delle diverse minoranze varia di molto a seconda del contesto storico e politico del singolo caso. Si trovano così casi di pacifico monolinguismo nella lingua minoritaria (ad es. le isolèland), o di monolinguismo prevalente di fatto (Galles); casi di bilinguismo funzionale, come nelle Comunità autonome spagnole in cui sono insediate le nazionalità storiche (Catalogna, Paesi Bassi, Galizia, Valencia, ecc.), dove la toponomastica è disciplinata dalla singola regione ma lo Stato può intervenire per garantire il bilinguismo della segnaletica più importante; casi in cui il bilinguismo scatta in presenza di un numero minimo di persone appartenenti alla minoranza nel relativo territorio (nella maggior parte dei Paesi europei, specie orientali, la soglia è fissata al 20%, ma in qualche caso è inferiore, come in Carinzia o in Finlandia); casi di bilinguismo assoluto indipendentemente dai numeri (Provincia di Bolzano, Kosovo); casi di monolinguismo territoriale, in cui ogni territorio ha di regola una e una sola lingua ufficiale (Belgio, Svizzera); e casi (e sono purtroppo molti) in cui il diritto della minoranza alla toponomastica nella propria lingua è negato. Nel panorama comparato, l’Italia si caratterizza per una legislazione tra le più aperte. In Valle d’Aosta la toponomastica è prevalentemente monolingue (anche se alcuni comuni hanno una denominazione bilingue), e questo perché così prevede lo Statuto di autonomia. Anche in Sardegna molti nomi di località sono quelli tradizionali in lingua sarda o catalana, e una legge provinciale di Trento del 2008 ha aperto alla toponomastica ladina in Val di Fassa.

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La recente giurisprudenza della Corte costituzionale ha chiarito senza equivoci, in relazione ad una legge del Friuli-Venezia Giulia che attribuiva ai comuni il potere di decidere sulla propria denominazione anche nella sola lingua friulana, che il bilinguismo è un criterio inderogabile. Ma ha anche stabilito che le regioni possono promuovere la ricerca della toponomastica storica. E’ quindi perfettamente legittimo porre in essere un processo di consapevolezza storicamente fondata della toponomastica locale, anche al fine di dimostrare l’arbitrarietà delle operazioni di italianizzazione compiute nel passato.
Da noi la SVP, pur divisa al suo interno sulla questione, è unanime nel rifiutare la legalizzazione dell’opera di Tolomei. Emotivamente ha tutte le ragioni per sostenerlo. Ma giuridicamente questa legalizzazione è già avvenuta con l’entrata in vigore dello Statuto di autonomia. Ed è qui il vero punto: una discussione giuridicamente fondata sulla toponomastica in Provincia di Bolzano non può farsi senza una revisione dello Statuto: solo con questa si potrebbe accedere ad uno dei tanti modelli offerti dal diritto comparato, o inventare qualcosa di nuovo. La legge provinciale che la SVP intende portare in Consiglio, per quanto non scandalosa, semplicemente non può modificare lo statuto, ed è destinata a vita breve. Anche se appaiono complessivamente defilati nella discussione, e forse non se ne rendono nemmeno conto, sono i partiti italiani ad avere in mano le carte. Essi possono delegare a Roma la trattativa e la soluzione - e anche se tutti negano di volerlo fare, è ciò che stanno consentendo. Per inciso, se davvero il Governo ricorrerà ai poteri sostitutivi, è probabile che un eventuale ricorso della Provincia alla Corte costituzionale abbia successo, perché pur avendo il Governo ragione in tema di cartelli, lo strumento in questione può esercitarsi solo in presenza di condizioni che in questo caso non paiono date.
Allo stesso modo, se il Consiglio provinciale approverà la proposta di legge della SVP sulla toponomastica senza il consenso dei partiti italiani, potranno essere loro a ricorrere alla Corte costituzionale o lasciare che sia il Governo a farlo (e anche questa scelta non è indifferente). Oppure possono prendere in mano la situazione adesso, ed iniziare a ragionare con la SVP su un compromesso a tutto campo. Che passi per la riforma dello Statuto, su questo e su altri punti. I partiti italiani possono insomma essere attivi o passivi, coraggiosi o timorosi, creativi o conservatori. Ma soprattutto devono essere consapevoli delle loro scelte. E’ da loro che passa la soluzione al problema. Azzeccando le mosse, questo pasticcio può essere un’occasione straordinaria per giungere ad un nuovo patto per la convivenza. Fondato sul diritto, e fuori da logiche proprietarie.

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