Un Consiglio da rianimare

di Francesco Palermo


Francesco Palermo


Il Consiglio provinciale ha un nuovo presidente, seguendo la rotazione etnica prevista dallo statuto. Le modalità con cui si è giunti all’elezione sono indicative della difficile situazione in cui si trova il processo politico nel suo insieme, cui in questa provincia si aggiungonono il fattore etnico e il sistema di condivisione.
Legato al potere da parte dei gruppi linguistici - e oggi le lacerazioni nel centro-destra. Le alchimie politiche che hanno condotto all’elezione del presidente Minniti sono inversamente proporzionali alla rilevanza dell’organo nel sistema di governo della Provincia di Bolzano. E’ davvero necessario scannarsi tanto per l’elezione del Presidente del Consiglio provinciale? L’energia che si è profusa in questa elezione, la complessa tessitura della tela politica, gli intrecci, le ripicche politiche e personali tra le diverse anime della rappresentanza italiana e tutto ciò di cui si è letto a seguito dell’elezione, sono giustificati rispetto al peso reale dell’istituzione e ai suoi problemi? L’impressione è che la politica si concentri troppo sulle persone, sulle cariche, sulle ricadute tattiche dell’occupazione delle caselle piuttosto che sulle cose da fare.
E’ vero che le istituzioni sono incarnate da persone, e non è irrilevante che in una determinata funzione vi sia una persona piuttosto che un’altra. Ma impiegare le migliori energie di intelligenza, di tempo e di strategia per un’elezione come questa, sia pur importante, rischia di distogliere queste energie dall’analisi e dalla soluzione dei problemi concreti.
Il punto è, insomma, che la politica ha finora ritenuto più importante decidere chi dovesse fare il presidente piuttosto che su cosa debba fare il presidente, e il consiglio nel suo complesso. Dapprima il difficile processo interno alla SVP che ha portato all’elezione di Unterberger, poi la concentrazione sul problema dell’ostruzionismo, ora la vicenda tutta politica che ha portato all’elezione di Minniti: in tutto questo, le reali questioni che il Consiglio deve affrontare sono trascurate da tempo.
Il problema, più e prima che politico, è istituzionale. Il potere legislativo è ovunque in profonda crisi. Le due funzioni originarie per le quali il sistema parlamentare è stato creato - la produzione legislativa e il controllo sull’esecutivo - sono in grave difficoltà. La funzione legislativa è di fatto trasferita in capo al potere esecutivo, che dispone della burocrazia necessaria per l’elaborazione dei progetti di legge, ed incarna l’indirizzo politico che quei progetti intende proporre. Da noi, inoltre, la situazione è aggravata da una produzione legislativa scarsissima, perché anche la Giunta porta pochissime proposte di legge, preferendo strumenti di delegificazione e così riducendo il parlamento più autonomo d’Italia ad una assemblea che discute al massimo qualche mozione.
E le decisioni più importanti per l’autonomia sono assunte con norme di attuazione, da cui il Consiglio è completamente tagliato fuori. Il controllo politico sull’esecutivo è poi, come ovunque, pressoché inesistente, visto che il circuito del controllo non passa più dall’asse legislativo-esecutivo, ma da quello tra maggioranza assembleare ed esecutivo da un lato e opposizione assembleare dall’altro. Con il che le opposizioni si trovano a giocare un ruolo di mera testimonianza, senza possibilità di incidere.
Se le due funzioni principali del Consiglio diventano irrilevanti o persino inesistenti, cos’altro occorre aspettarsi dalla sede primaria della sovranità popolare in questa Provincia? Occorre che questa si ponga come luogo di riflessione, di discussione, di composizione e sintesi del pluralismo espresso dal territorio e dalla sua popolazione. Ma per fare questo, occorre ripensarne ruolo e strumenti. Il ruolo dev’essere quello di un’assemblea moderna, che funga da sede di riflessione critica sull’indirizzo politico di maggioranza e da luogo di approfondimento e pubblicità delle decisioni. Gli strumenti attualmente a disposizione sono armi spuntate, e solo su quello più visibile (l’ostruzionismo) si sono concentrate le attenzioni. Ma l’ostruzionismo è l’effetto, non la causa delle difficoltà di funzionamento del Consiglio. E’ chiaro che finché l’ostruzionismo rimane l’unica via per le opposizioni di farsi sentire, tenderà ad essere abusato. Ed è altrettanto chiaro che l’abuso di ostruzionismo soffoca ancora di più il funzionamento dell’assemblea, alimentando così un circolo vizioso. Ma la soluzione al problema dell’ostruzionismo deve essere la conseguenza di una riforma del Consiglio, non la sua causa.
Anche sotto questo essenziale profilo democratico una riforma non solo del regolamento del Consiglio, ma dello statuto di autonomia nel suo complesso appare indispensabile. Per ammodernare il sistema di assunzione delle decisioni e creare un’assemblea utile ai cittadini che la eleggono e la finanziano. Finché ciò non accadrà, occorre quanto meno lavorare sulla funzione democratica del Consiglio, facendone il luogo della partecipazione e dell’approfondimento. Sulle poche proposte di legge che arrivano si potrebbero tenere regolari audizioni (non costano niente) coinvolgendo esperti tecnici nelle varie materie in discussione - altrimenti il monopolio della conoscenza resterà in capo alla Giunta. Si possono prevedere forme di pubblicità e partecipazione alle sedute, si potrebbe consentire la presentazione di disegni di legge da parte di gruppi organizzati - in modo trasparente, senza dover ricorrere alle lobbies. Si potrebbero introdurre sessioni di monitoraggio rispetto all’attuazione delle leggi approvate, coinvolgendo la Giunta ma anche i cittadini e le associazioni maggiormente interessate al tema.
Insomma, il Consiglio è in difficoltà, ma con un po’ di fantasia può essere rianimato più di quanto si sarebbe portati a pensare. Basterebbe dare all’istituzione l’attenzione che merita.
E non concentrare tutte le energie soltanto sull’elezione del presidente. Al quale vanno i più sinceri auguri di buon lavoro: volendo ce n’è molto da fare.

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