Una confessione, tante ombre 

Ancora molti i punti oscuri sulla morte di Nicoleta Caciula. Resta in carcere il nipote Daniel


di Paolo Tagliente


BOLZANO. Se qualcuno sperava che dall’udienza di convalida dell’arresto di Daniel Caciula, svoltasi ieri mattina nel carcere di Bolzano, sarebbero arrivati elementi utili a fare chiarezza almeno sui motivi che hanno spinto il ventiduenne a uccidere la zia, Nicoleta Caciula, è rimasto certo deluso. Non tanto perché il giovane, assistito dall’avvocato Angelo Polo, si sia avvalso della facoltà di non rispondere alle domande del pm Daniela Pol e del gip Peter Michaeler, che ha confermato la richiesta di convalida del fermo presentata dalla procura motivandola con il pericolo di fuga e reiterazione del reato, quanto perché gli elementi emersi nelle ultime ore hanno reso, se possibile, la vicenda ancora più ingarbugliata. Ma andiamo per ordine.

L’INDAGINE. Come sono arrivati a Daniel gli inquirenti? Nelle ore successive alla tragedia, quando ancora non era chiaro si trattasse di un omicidio, i carabinieri della Compagnia di Brunico e del Nucleo investigativo di Bolzano hanno ascoltato tutte le persone più vicine - familiari e amici - alla quarantaduenne trovata morta nel suo appartamento durante le operazioni di spegnimento del rogo sviluppatosi nell’alloggio. Daniel aveva risposto alle domande sulla zia e aveva detto agli investigatori dove si trovava al momento della morte della sorella del padre. E proprio sul padre, il giovane aveva cercato di indirizzare le indagini, ipotizzando che potesse essere stato lui a uccidere Nicoleta. Dichiarazioni subito verificate, incorciando dati telefonici e visionando anche le immagini raccolte da alcune telecamere vicine a via San Lorenzo, dove si trova il condominio teatro dell’omicidio. E quelle indagini hanno smentito le parole di Daniel. I primi sospetti su di lui sono sorti in quel momento e, più tardi, interrogato nuovamente e messo alle strette, Daniel ha confessato l’omicidio, fornendo dettagli mai divulgati che solo l’autore del delitto avrebbe potuto conoscere.

L’AGGRESSIONE. Gli inquirenti sono convinti che l’ aggressione denunciata da Daniel, che due giorni dopo l’omicidio s’era presentato al pronto soccorso per farsi medicare ferite subìte, a suo dire, durante un pestaggio ad opera di due uomini, non avrebbe alcun legame con la vicenda. Anzi, non in maniera esplicita, ma gli investigatori mettono addirittura in dubbio che quel pestaggio ci sia mai stato. Dubbi che lo stesso avvocato Polo ha. «Questo è tutto da accertare – spiega il giovane legale –. Non si capisce quando abbia subito queste lesioni. Probabilmente non hanno nulla a che fare con la notte del 17 luglio».

L’INCENDIO. «Dell’incendio non si sa nulla. Non fa parte delle contestazioni. Allo stato, è escluso dal capo d’incolpazione» taglia corto l’avvocato Polo.

LA FAMIGLIA. Ieri mattina, all’uscita del carcere, il giudice Peter Michaeler ha pronunciato poche parole per raccontare l’esito dell’udienza. Ma ha parlato di Daniel come un giovane «da un passato difficile, figlio di immigrati, con una famiglia problematica, pluriproblematica». Dalle parole del giudice, in particolare, emerge la figura di un padre molto violento nei confronti dei figli. Un rapporto tanto difficile che, in un primo momento, il giovane ha tentato di riversare sul papà la responsabilità dell’omicidio. «C’è una situazione pregressa di malattie psichiatriche in famiglia, soprattutto per quel che riguarda il padre, con disturbi della personalità, schizofrenici e paranoidi – rivela l’avvocato – e lo stesso padre era stato oggetto di un procedimento penale per maltrattamenti in famiglia. Daniel e i suoi due fratelli, insomma, hanno vissuto un’infanzia particolarmente dura. Un quadro che rende di fatto scontata la richiesta di perizia psichiatrica sul ventiduenne.

IL MOTIVO. «Un diverbio acceso con la vittima». Per ora c’è solo questa frase, inserita dalla procura in un breve comunicato stampa, a spiegare l’omicidio. Durante la confessione fatta ai carabinieri, Daniel avrebbe fornito particolari sugli ultimi istanti di vita della zia e anche cosa abbia scatenato la sua furia, quella furia che lo ha spinto a stringere il filo elettrico attorno al collo della zia, fino a farla soffocare. Ma le sue parole hanno lasciato alquanto scettici sia gli investigatori che lo stesso legale di Daniel. «Il motivo che lui ha fornito – prosegue il giudice – va ancora chiarito, se è vero o meno, a me non sembra molto credibile. Le indagini vanno avanti. Al momento, preferisco non dire nulla». Bocca cucita anche quella dell’avvocato Polo che ha subito avviato delle verifiche per sulla fondatezza anche di queste ultime dichiarazioni. I punti ancora oscuri, insomma, restano ancora molti.

©RIPRODUZIONE RISERVATA













Altre notizie

Attualità