Verde, bella e serena: così i giovani migranti vedono Bolzano 

La straordinaria mostra fotografica al Trevi realizzata da 25 richiedenti asilo davanti e dietro l’obiettivo


di Paolo Campostrini


BOLZANO. Uno dice "monumento". E pensa al bianco e ai fasci, al mundial e a tutto il resto. Se è un bolzanino. Altrimenti può succedere che, guardandolo, veda il verde del parco prima di lui e gli alberi e quello che gli sta intorno. E la Vittoria diventi uno sfondo di mite convivenza e non più una presenza incombente. Come pure il viadotto dell'A22, che ci passa sopra come se avessimo una fabbrica sulla testa, scopre di possedere, tra il cemento, anche dei fiori nascosti, vicino a un incrocio di città. Ecco cosa succede se si guardano le cose con occhi diversi e si cercano anche altre impressioni e non sempre le solite. Lei, ad esempio, si chiama Sara Imhona, ha treccine gialle sui capelli e i vestiti colorati. Viene dalla Nigeria e ha 23 anni. «Le abbiamo insegnato ad usare l’obiettivo e le è stato dato un itinerario. Questo è il risultato», dice Ivo Corrà, fotografo, autore del progetto “Come ti vedo”, in corso al Trevi. Dove scorrono le immagini prodotte da undici giovani migranti.

Appena concluso un corso di italiano, l'ufficio del bilinguismo, il Cls, la Caritas, la formazione professionale italiana hanno proposto loro di mettersi in viaggio in mezzo alla città, di guardarla attraverso i loro occhi provenienti da altri mondi e di provare a dirci in che mondo viviamo qui. «L'atto fotografico - dice Corrà - è certamente un modo di fare propria la nuova realtà che stanno vivendo».

Ma, alla fine, ne hanno mostrata un'altra possibile. In sostanza: Bolzano ci è stata restituita diversa, magari migliore. Un dare ma poi un avere. E dunque: non è che la mostra e il suo percorso possano diventare così una parabola di ciò che si può trarre dalle fatiche dell'accoglienza? Nel senso che altri uomini e donne, proprio “in quanto” diversi nelle culture di provenienza, nei gusti ma anche negli occhi, siano in grado alla fine di fornirci nuovi sguardi sul mondo in grado di aprirci orizzonti inediti? Christian Abunene, invece ha 20 anni. Viene anche lui dalla Nigeria e parla un italiano che sa di inglese. È stato ritratto, in un altro percorso fotografico, nella parrocchiale di Gries. Sopra di lui gli affreschi barocchi, i candelabri , gli stucchi e gli ori. Christian se ne sta curvo sull'inginocchiatoio, le mani giunte. «Ho approfittato di quella chiesa che non conoscevo per dire due preghiere» racconta adesso. Lui è cristiano. E nigeriano. Fa parte di quella folta schiera di migranti non musulmani in grado di farci capire anche il senso della complessità delle loro culture e fedi, tante volte schiacciate invece dalle immagini di una ostile ma fittizia omogeneità religiosa. Può essere, questa mostra, anche un itinerario per i bolzanini che volessero scoprire una città che non conoscono veramente. Gli interni dal sapore metropolitano della scuola professionale di via Roma, ad esempio, sono uno sfondo straordinario, uno sguardo anch'esso non più ostile ma complice verso un'opera a lungo contestata dai suoi vicini che non riuscivano ad intravederne la carica di famigliare contemporaneità. Poi piazza Erbe e il centro storico pieno di volti ma anche di scarpe. Una diversa dall'altra. Colorate e agili dove gambe nere e gambe bianche camminano incrociandosi in un fittissimo scambio di passi nel mondo.

«Uno spazio che non conoscevano è diventato loro - dicono Ivo Corrà e Sara Cappello, della ripartizione cultura in lingua italiana - se ne sono appropriati ma hanno fornito anche a noi bolzanini nuove chiavi di lettura». È il dare e avere di cui sopra. In undici, tra l'aprile e il giugno di quest'anno, hanno avuto il compito di ritrarre e di ritrarsi loro stessi. Alternando il ruolo di fotografi e di modelli. Un gruppo è partito dal Twenty ed è risalito verso Don Bosco; un altro da Piazza Domenicani toccando poi le vie del centro per approdare all'Università. Infine a un terzo gruppo è stata affidata la “città nuova”, avviandosi dal monumento alla Vittoria, lungo corso Libertà fino a piazza Gries. È stato questo, uno dei percorsi più evocativi, per un bolzanino. Che ha messo insieme le nuove, placide suggestioni del monumento con il modernismo dell'asse urbano fino agli straordinari colori settecenteschi della chiesa di Gries, visitata e ritratta con lo stupore dei neofiti. Tutti i coinvolti nell'iniziativa fotografica sono giovani rifugiati e richiedenti asilo. Sono cioè in attesa di giudizio. Nel frattempo è stata offerta loro un'opportunità. Che non è solo una prospettiva lavorativa ma di vita e di percezione delle cose. «C'è stata molta spontaneità e freschezza nel loro lavoro con l'obiettivo - aggiunge Corrà - ma anche ironia. E ne è uscito uno sguardo multiplo, interessante anche in termini puramente fotografici». La mostra, al Trevi, resterà aperta almeno per un mese. Ah, c'è anche un video di Sara che balla e canta “Azzurro” di Celentano.













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