Vietare la caccia? Spagnolli dice no 

Il funzionario ribatte all’appello lanciato dagli animalisti per una moratoria nell’attività venatoria nella provincia



BOLZANO. Dopo la catastrofe ambientale, numerose associazioni animaliste hanno chiesto alla Provincia di Bolzano di fermare la stagione di caccia per non creare ulteriori danni ad una fauna già pesantemente provata dalla devastazione del suo habitat. «Chi dice così – ribatte, secco, Luigi Spagnolli, direttore dell’ufficio caccia e pesca della Provincia – non ha la minima idea di cosa bisogna fare per gestire la natura e la gestione dell’ambiente. Questo evento gravissimo ci insegna, se ce ne fosse ancora bisogno, che l’uomo deve aiutare la natura. C’è bisogno di piantare alberi, di fare attenzione a dove e a come si piantano e a come coltivarli. E questo vale anche per la caccia, quella fatta bene, quella pianificata e programmata e funzionale a mantenere le specie animali in un certo numero ed equilibrate tra maschi e femmine e in classi di età, è uno strumento di gestione della natura. Il Wwf e le altre associazioni che chiedono di sospenderla non si rendono conto che sono gli stessi animali, in qualche caso, ad aver messo in nostri boschi in crisi perché mangiano gli alberelli appena spuntati, impedendo il necessario rinnovamento. Abbiamo una quantità proporzionalmente esagerata di ungulati, soprattutto di cervi e caprioli, e questo fa sì che il bosco sia meno resistente anche ad eventi estremi. Per questo – continua Spagnolli – bisogna continuare la caccia, ma come la facciamo noi, con un piano serio, con gente preparata che va e spara ai capi a cui deve sparare. La caccia non è uno sparare privo di regole, ma un’attività che è utile se fatta bene». Spagnolli fornisce qualche dato per spiegare quanto sia importante portare avanti l’attività venatoria in maniera attenta e programmata. «Subito dopo la guerra – spiega – i cervi, in Alto Adige, saranno state poche centinaia, ora sono 15 mila. I caprioli sono tra i 50 e i 60 mila. Nella nostra provincia – conclude il dirigente – abbiamo un quinto o un sesto di tutti i cervi d’Italia. E ne spariamo molti di più che nel resto del Paese. Ecco perché le associazioni animaliste sono fuori strada». (p.t.)













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