memoria

Vittime del 3 maggio, presto una stele

Cerimonia dell’Anpi davanti al muro di via Volta. Il Comune metterà una targa con tutti nomi dei lavoratori uccisi



BOLZANO. Ci sono voluti 72 anni ma finalmente Bolzano ha deciso di togliere il velo sulla strage dimenticata degli operai della Zona industriale del 3 maggio 1945. Ieri l’Anpi, il sindaco Carmaschi, i parenti delle vittime hanno deposto una corona davanti al muro dell’Iveco (allora Lancia) dove avvenne la fucilazione, un’altra corona è stata deposta al cippo all’interno dello stabilimento che ricorda l’uccisione nel cortile della fabbrica di altri tre lavoratori. Dopo la cerimonia, si è tenuto un convegno, organizzato sempre dall’Anpi, con il direttore dell’Archivio storico Hannes Obermair sugli ultimi giorni del conflitto nel capoluogo.

Nei primi anni del dopogurra la morte degli operai veniva ricordata regolarmente con cerimonie cittadine e all’interno degli stabilimenti, poi la memoria di quel giorno è stata accantonata. Una strage «scomoda». C’era chi accusava una parte dei partigiani di aver provocato deliberatamente i tedeschi provocando la rappresaglia per poi rivendicare l’«italianità» dell’Alto Adige. E chi invece difendeva il sacrosanto diritto degli operai - per ordine del Cln - di difendere le fabbriche dalle razzie dei tedeschi in fuga. «Una vicenda estremamente complessa», ha sottolineato ieri l’ex senatore Lionello Bertoldi. Oggi che sono passati 72 anni finalmente si può guardare indietro e onorare quelle vite spezzate. «Una pagina tragica della nostra storia - ha detto il presidente dell’Anpi Alto Adige Orfeo Donatini -, che ora va raccontata fino in fondo. Si tratta di una strage avvenuta quando la guerra era finita, Mussolini già morto, Hitler suicida nel suo bunker a Berlino. Permangono ancora diverse ombre che solo la ricerca potrà chiarire. Per questo stiamo collaborando con l’Archivio storico Città di Bolzano, che sta compilando la lista completa delle persone uccise quel giorno in Zona». Ieri, sia alle deposizioni, sia al convegno era presente Hannes Obermair, il direttore dell’Archivio, molto impegnato nella ricostruzione di una memoria comune, che affronti fino in fondo anche i nodi irrisolti. Un impegno ribadito dal sindaco Renzo Caramaschi che ieri ha sottolineato «la necessità di non dimenticare la nostra storia e il sacrificio di molti». Il Comune, attraverso l’Archivio, ha intenzione di istituire un luogo della memoria per tutte le vittime del 3 maggio 1945, con l’elenco dei nomi dei morti, dei feriti e dei sopravvissuti.

A Bolzano ci sono ancora due testimoni diretti di quella giornata: Ottorino Bovo, partigiano incaricato di proteggere la Lancia; e Bruno Bovo, rastrellato nello stabilimento Sida, fucilato al muro della Lancia, ma miracolosamente sopravvissuto con 5 pallottole in corpo.

Il presidente dell’Anpi e il sindaco hanno annunciato anche l’intenzione di organizzare un evento al lager di via Resia con la proiezione sul muro di tutti i 10 mila nomi dei prigionieri passati dal campo, dei 3 mila deportati in Germania, Austria e Polonia, e dei 1.500 mai più tornati.

Ieri, alla deposizione delle corone erano presenti l’ex sindaco di Bolzano Giovanni Salghetti Drioli, che a metà degli anni Novanta ha dato un impulso decisivo al recupero del muro del campo di via Resia e della memoria della Resistenza a Bolzano, e i parenti di due vittime del 3 maggio. Marco Cavattoni, figlio di Andrea, partigiano, uno dei pochi sopravvissuti alla fucilazione, e Antonio Peretto, nipote di Toni, che invece morì sull’ambulanza che lo portava in ospedale.

Andrea Cavattoni e Toni Peretto erano entrambi lavoratori della Sida, lo stabilimento in cui i tedeschi quel giorno rastrellarono una decina di persone, portandole poi in colonna al muro della Lancia, dove vennero mitragliati da un autoblindo di parà tedeschi insieme ad altri operai.

«Per noi - dice il figlio Marco - è importante che la città finalmente conosca la loro storia e il loro sacrificio. Soprattutto ci preme che questa memoria sia tramandata alle giovani generazioni».

Per Antonio Peretto è anche l’occasione per chiudere il cerchio di un capitolo doloroso: «La morte di mio zio Toni - dice - ha pesato come un macigno sulla mia famiglia. Mio padre Gino ha sofferto moltissimo ma non ne ha mai voluto parlare. Per pudore, rispetto, e per non riaprire vecchie ferite. Ma adesso è arrivato il momento di onorare questi uomini col ricordo». (lf)













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