ARTE

Volti prima e dopo la morteA Bolzano una mostra choc

Si chiama "Vivere ancora" e affianca i ritratti di malati terminali a quelli delle stesse persone dopo la loro morte



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BOLZANO.
La morte come soggetto artistico. Protagonista di una mostra fotografica, intitolata “Vivere ancora” che verrà inaugurata il 26 febbraio in prima nazionale alla Libera Università di Bolzano. In mostra, volti di persone, malati terminali che si sono fatti ritrarre prima e dopo la morte. E i visi affiancati sono la testimonianza del passaggio dalla vita alla morte.

Realizzata con la collaborazione dell’associazione per le cure palliative “Il Papavero” e della facoltà di Design ed Arte dell’Università di Bolzano, affronta un tema scomodo nella nostra società.

Ogni giorno le persone entrano in contatto indiretto con la morte attraverso la televisione, giornali, internet, eppure resta tabù, un argomento di cui è meglio non parlare. Il fotografo tedesco Walter Schels e la moglie giornalista Beate Lakotta hanno deciso di andare controcorrente, intraprendendo un viaggio che li ha portati a vivere a stretto contatto con 24 persone in lotta per la vita, vivendo con loro i giorni precedenti la fine.

Di età compresa tra i 17 e gli 83 anni, i soggetti non hanno esclusivamente raccontato le loro storie ma sono stati ritratti poco prima della morte, e subito dopo. Grazie a quest’esperienza e nato dapprima un libro, intitolato “Vivere ancora prima di morire. Quando le persone muoiono” e successivamente la mostra “Vivere ancora”, che ha già toccato le principali capitali mondiali.

Sono grandi fotografie in bianco e nero quelle che vengono offerte ai visitatori, accompagnate da un breve biografia del soggetto. Ritratti che mostrano l’espressione seria e consapevole di chi è vicina alla fine, e quella esausta ma di pace che essi assumono dopo la morte.

Fotografie che mostrano come ognuno dei soggetti abbia reagito alla morte in modo differente in modo diverso, chi con rabbia, chi con rassegnazione ma come sostiene una di loro, Edelgard Clavey, “la morte è una prova di maturità alla fine della vita; ciascuno di noi prima o poi dovrà affrontarla”. Come a dimostrare che parlare della morte è una paura solo di chi non l’ha provata in qualche modo sulla sua pelle: chi sente la fine ha invece voglia di parlare delle sue sensazioni, dei suoi timori.

Come raccontato anche da un altro protagonista, Heiner Schmitz, “le persone che ti circondano quando sei malato cercano di non pensare. I miei amici hanno cercato di tirarmi su il morale con l’allegria, ma non è di questo che ho bisogno. Sto morendo e non mi serve che le persone lo neghino.”

Immagini che portano dunque alla riflessione non solo sulla morte, ma anche sulla medicina, sui suoi poteri e sulla situazione dei malati terminali. Non sono persone in attesa della fine, ma esseri umani che hanno bisogno di sentire che i loro ultimi giorni e momenti di vita hanno avuto un significato. Questi sono i messaggi che i due coniugi vogliono trasmettere grazie a questa mostra che sicuramente farà discutere, ma che forse sfonderà anche una piccolissima parte del muro di omertà che si crea intorno ad argomenti scomodi come morte e malattia













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