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Votare a teatro: così lo Stabile si conferma su traiettorie «spettacolari»

SEGUE DALLA PRIMA PAGINA. la sana abitudine di non accontentarsi e di cercare nelle sue produzioni la traiettoria più inusuale. Dopo la scardinamento delle abitudini teatrali del Moliére di Paolo...


di Paolo Mazzucato


SEGUE DALLA PRIMA PAGINA. la sana abitudine di non accontentarsi e di cercare nelle sue produzioni la traiettoria più inusuale. Dopo la scardinamento delle abitudini teatrali del Moliére di Paolo Rossi e la visionaria sarabanda di Wonderland, il Tsb porta questa volta tutto il pubblico direttamente sul palco, in mezzo a cavi, impalcature, oggetti di scena, al cospetto di uno spettacolo che ne racchiude almeno tre. Tre assaggi di potenziali future messe in scena: quale tra il sognante Don Chisciotte, il contemporaneo Jtb, e il graffiante “I cavalieri” di Aristofane, lo deciderà il pubblico votante, alla fine. L’aspetto straordinario delle serate che interrogheranno gli spettatori fino al 22 ottobre, quando lo scrutinio sarà completato e si saprà quale dei tre testi verrà poi di fatto prodotto, è l’insolito clima che si crea in sala: più che in altre occasioni, i testi, ciascuno dei tre, ci riguardano, ci sono forse più cari, ci stanno più a cuore perché ciascuno ci chiede di scommettere su di lui, di avere fiducia nelle sue potenzialità, di concedergli credito e di consentirgli di crescere, di farsi adulto. È come se, per una volta, con il nostro voto, diventassimo un po’ più responsabili per lui, artefici, se vogliamo, del suo destino. Solo che di questo surplus di impegno, piacevolmente, non ci accorgiamo, mentre seguiamo le bizzarrie del cavaliere della Mancia, i deliri dell’agente musicale di Jtb o la crassa volgarità del tribuno del popolo ateniese. L’abilità del lavoro della regia e dei cinque attori sulla scena sta nell’accompagnarci con grande naturalezza dentro e fuori i mondi immaginati dei tre testi, e in un’unica serata ci ritroviamo, per tre volte, pienamente immersi nello spazio teatrale che in quell’istante viviamo: insomma, mentre guardo Jtb, non rimangono nella mia mente tracce, residui emotivi del precedente Don Chisciotte, così come magicamente svanisce Jtb mentre rido a “I Cavalieri”. Ogni volta l’emozione, il paesaggio intorno a me si ricreano, anche se sulla scena vedo sempre i cinque volti dei medesimi attori, gli stessi oggetti di scena, le medesime assi del palco.

Non è facile incantare 172 persone, quante ce ne stanno ogni sera, con tre incantesimi diversi in soli 90 minuti. Vuole dire almeno tre formule. La compagnia le conosce, noi no, e forse ne esiste pure una quarta, quella più segreta, nascosta nell’astuzia di trovare le cerniere giuste che tengono insieme tre pezzi disparati, e nel piacere di raccontarli. Il piacere di commentrali invece si trasferisce poi al pubblico, che infine abbandona la scena e pigia il pulsante per votare, poi osserva in diretta il ballottaggio a tre e discute in platea sui risultati che si aggiornano in tempo reale. E, ancora, una sensazione strana: quando si esce dall’edificio-teatro si ha come l’impressione che, là dentro, lo spettacolo sia ancora vivo...













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