Part time «spinto», commesse in rivolta 

La Cgil guida - in periferia - la protesta. Costanzo e Falcone: «Flessibilità incontrollata, lavoratrici alla mercé dell’azienda»


di Massimiliano Bona


BRESSANONE/VARNA. Nasce in periferia il "mal di pancia" delle commesse Lidl, dipendenti (quasi tutte donne) della grande distribuzione vittime di «una flessibilità spietata e incontrollata». Quasi tutte - stiamo parlando di un centinaio di lavoratrici in provincia - hanno contratti part time, guadagnano 7-800 euro netti, ma non hanno garanzie sugli orari. Se non di settimana in settimana. «Questo contratto - sottolinea la Cgil, che le rappresenta - pone i lavoratori alla mercé dell’azienda, dando la possibilità di variare il numero delle ore lavorate settimanalmente ma anche la loro collocazione temporale».

I punti vendita in provincia sono sette: Bolzano, Bronzolo, Varna, Lana, Lagundo, Laces e Brunico. E dopo anni in cui i lavoratori accettavano passivamente la situazione hanno deciso di alzare la voce. «Il nostro vero problema - spiega una di loro - è il cosiddetto meccanismo del part-time sperimentale. Non abbiamo fasce orarie predefinite, nessuna maggiorazione per la flessibilità richiesta e quindi siamo spesso alla mercé dell’azienda. Che non ha problemi di fatturato ed è solidissima. Tutto questo ha convinto alcune di noi a scendere in piazza venerdì 13».

Il contratto integrativo peggiora, inoltre, il meccanismo del lavoro domenicale. «In passato si concordava l'orario in base alla disponibilità delle lavoratrici. Oggi viene imposto».

Critica Anna Falcone, componente della segreteria Filcams e referente per il settore del commercio. «Il contratto integrativo avrebbe dovuto migliorare quanto previsto dal contratto nazionale, invece introduce preoccupanti deroghe in materia di flessibilità. A pagarne le conseguenze saranno i lavoratori, soprattutto le lavoratrici, che hanno quasi sempre un contratto part time e che adesso concilieranno con maggiori difficoltà la vita familiare con quella lavorativa».

Alcune lavoratrici, forse, saranno costrette a dare le dimissioni. «Si tratta di una condotta inaccettabile - sottolinea Antonella Costanzo, segretaria provinciale della Filcams - che conferma la volontà della società di continuare a non avere rapporti con noi dopo la sottoscrizione di un accordo che – pur in presenza di un andamento e di risultati economici estremamente positivi da parte di Lidl – comporta un arretramento della qualità dell’occupazione nei vari punti di vendita».

Le richieste. Il superamento del regime di flessibilità incontrollata per i lavoratori part time, introdotto dal nuovo contratto integrativo aziendale in deroga al contratto collettivo nazionale di lavoro, l’inserimento di una disciplina sul consolidamento degli orari di lavoro, la definizione di un sistema di incentivazione variabile ed una regolamentazione chiara e sostenibile del lavoro domenicale sono le priorità poste dalla Cgil «senza che vi sia stato alcun riscontro da parte di Lidl».

L’azienda. Lidl è una catena europea di supermercati di origine tedesca. Il nome completo della compagnia è Lidl Stiftung & Co KG. Lidl è stata fondata nel 1930 da un membro della famiglia Schwarz, allora si chiamava Lidl & Schwarz Lebensmittel-Sortimentsgroßhandlung.Negli anni Settanta nacquero i primi supermercati Lidl, incarnazione della catena odierna.

Nel 1999, secondo la lista annuale di Forbes, il proprietario di Lidl era il 37° uomo più ricco del pianeta: successivamente i suoi legali hanno chiesto che non apparisse più in questa classifica. Il colosso tedesco della grande distribuzione è presente dagli anni Novanta anche in Italia. È tra i primi dieci gruppi al mondo per fatturato nel settore della Gdo dopo gli americani Wal-Mart, Costco e The Kroger (fonte Deloitte dati 2016). Il gruppo opera in 30 Paesi (Europa, Stati Uniti e Hong Kong) con oltre diecimila filiali. Il primo punto vendita è stato aperto nel 1992 ad Arzignano (Vicenza) e nel nostro Paese si contano circa 600 filiali che impiegano 12mila dipendenti.

Lo sciopero. «Perché scioperiamo? Perché l’azienda intende adottare gli stessi criteri e meccanismi di distribuzione dell’orario di lavoro previsti per i lavoratori a tempo pieno».

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