Pedron: «Pd senza visioni e privo di autorevolezza» 

L’ex vicesindaco: «Inaccettabili il caso Dozza alla Lub e la schedatura negli asili» «La Svp, spesso, ci considera un male necessario da gestire: non può bastarci» 


di Massimiliano Bona


BRESSANONE. Gianlorenzo Pedron, avvocato di 54 anni, per 10 è stato in giunta a Bressanone e per 7 e mezzo ha ricoperto il delicato ruolo di vicesindaco. È stato eletto nel Pd, ma non è andato a votare alle primarie e nemmeno ha contribuito a scegliere il nuovo segretario provinciale. Molti, a Bressanone, hanno notato la sua assenza. Ieri, con il solito garbo, ne ha spiegato le ragioni.

Avvocato Pedron, ha rinnovato la tessera del Pd?

«Non la faccio più dal 2015. Questo è un Pd che ha un’amministrazione di tipo aziendale, anche ordinata, ma che non si muove e non ha visioni per il futuro».

L’ultima cosa che non ha digerito?

«La posizione debole, davvero troppo debole, assunta dal partito sulla schedatura etnica dei bambini all’asilo. Non basta votare contro. Portiamo avanti il progetto dell’asilo trilingue con successo da anni, ma poi accettiamo che il nostro alleato di giunta voti una mozione sulla schedatura dei bambini?».

Cosa manca?

«Autorevolezza. In giunta provinciale gli ultimi rappresentanti di quest’area che si sono fatti valere sono Gnecchi e Di Puppo. Poi, per gli italiani è andata sempre peggio».

Il problema, però, è anche il modo in cui il Pd accetta di farsi trattare dalla Svp...

«La domanda che dobbiamo porci è questa: la Svp ci considera dei protagonisti di questa terra o un male necessario da gestire? Ho sempre creduto che i territori in cui vivono più culture siano i più fortunati perché sono quelli che più di altri hanno le potenzialità per crescere, cercando di pescare il meglio da ognuna in una sintesi che in Europa ci avvantaggia. C’è, però, una cosa da chiarire...».

Cosa?

«Se tutte le componenti si considerano protagoniste a pieno titolo di tale sfida o se – sotto sotto – gli uni ritengano gli altri il male necessario da gestire e gli altri si chiamano fuori dai giochi o dalle scelte fondamentali perché tanto sono i primi a comandare...».

Come dire che non giochiamo “alla pari”?

«Certo, se tutte le componenti di questa terra non sono convinte che in un’Europa in difficoltà sia fondamentale la crescita dei territori “cerniera” come il nostro allora è inutile mettere mano a terzi-quarti Statuti. E saremo destinati a gestire il territorio in regime aziendale di amministrazione ordinaria come stiamo ben facendo senza però alcuna visione o politica di indirizzo».

Ma c’è chi non fa volutamente chiarezza a riguardo...

«Credo che – arrivati alla quarta generazione nata e cresciuta qui – questo presupposto si possa e si debba definitivamente chiarire tra tutti. Ricordo quello che ripeteva un mio anziano professore universitario secondo il quale “anche il più bel contratto, se firmato da due furbetti, sarà sicuramente una truffa”».

Gli obiettivi dei due gruppi non sembrano gli stessi...

«E allora non è difficile spiegarci come da una parte si promuova il progetto di scuola bi/trilingue e dall’altra si introduca la schedatura linguistica nelle scuole. Ma anche come eccellenze invidiateci a livello internazionale come la professoressa Dozza, già preside di Scienza della Formazione, vengano immolate nel silenzio perché colpevoli solo di aver creduto in una crescita dove tutti sono protagonisti. Il principio della bilinguità non è criterio condiviso per la nostra toponomastica e l’incontro tra culture si limita al mero perfezionamento delle competenze linguistiche. Per non parlare dell’incontro brissinese di partecipazione alla riforma dello Statuto dove è stato dibattuto il “grande” problema della bandiera sudtirolese da far esporre agli atleti altoatesini in competizioni internazionali….».

Ma gli italiani hanno i numeri per contare davvero?

«Non a caso i nostri padri costituenti avevano previsto una Regione a statuto speciale per promuovere un efficace lavoro di sintesi fra culture e della quale in silenzio assistiamo allo smantellamento...».

E il suo partito, il Pd, cosa fa?

«Nel mio partito di questo si discute poco e non mi pare vi sia né l’autorevolezza ma neanche la volontà di proporre un’inversione di rotta. Sono tutti troppo occupati in candidature e diatribe interne, mentre i figli crescono e vanno altrove, con l’amarezza di perdere opportunità irripetibili...».

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