Solland Silicon, staccata la spina 

La fabbrica di Sinigo. La giudice ha rigettato la richiesta di proroga del pagamento avanzata dal gruppo del Qatar: decaduta l’aggiudicazione Trattenuti 500 mila euro di cauzione. La Provincia dovrà emettere a breve una nuova ordinanza: la ripresa della produzione diventa un miraggio


Simone Facchini


Merano. Fine della corsa. Dopo mesi sulle montagne russe, il decreto depositato dalla giudice fallimentare segna la sorte della Solland Silicon. Il gruppo del Qatar, attivo nel settore del fotovoltaico, aveva chiesto altro tempo oltre ai 60 giorni concessi – e scaduti il 18 maggio - per versare il saldo relativo all’acquisto dello stabilimento chimico di Sinigo. Il tribunale ha rigettato la richiesta di proroga. Con questo provvedimento decade l’aggiudicazione. I capitoli precedenti di questa storia insegnano che le sorprese non sono mai finite, tuttavia la ripresa della produzione allo stato delle cose appare un miraggio. Stando alle parole del governatore Arno Kompatscher il prossimo passo sarà lo svuotamento degli impianti, che però potrebbe rivelarsi più complicato del previsto. Solo a operazioni concluse non sarà più necessario l’oneroso mantenimento in sicurezza che negli ultimi due anni, ultimo mese a parte, ha gravato sulle casse provinciali.

Multa.

Poche righe di comunicato diramate ieri, firmate dalla giudice delegata ai fallimenti Francesca Bortolotti, hanno eclissato le ultime possibilità di riprendere la produzione di silicio policristallino. La giudice ha valutato per più giorni tutte le informazioni in suo possesso prima di sciogliere le riserve. A favore della procedura è stata trattenuta a titolo di multa la cauzione versata dalla società qatariota, 500 mila euro, equivalenti a un decimo dei 5 milioni offerti lo scorso febbraio all’asta per l’acquisizione del complesso industriale. Sono destinati al fondo di fallimento a favore dei creditori.

Poche righe che depennano il messaggio affisso sull’insegna all’ingresso del sito, dove appare l’ultimo appello, vano, del comitato di fabbrica che invocava la concessione della proroga, rimarcando “l’interesse strategico nazionale e le potenzialità di sviluppo e innovazione” connesse ai riflessi occupazionali e di indotto che si sarebbero potuti concretizzare in caso di capitali freschi da investire per il rilancio, come avrebbe promesso la società araba.

Sotto quel cartello coperto rimane ben visibile l’insegna della Global Wafers-Memc, l’azienda che all’interno dello stesso recinto continua florida la sua attività.

Scenari.

In tempi molto ristretti la Provincia dovrà ora emettere un’ordinanza che superi quella in scadenza il 31 maggio. Le esplicite dichiarazioni di Kompatscher, contrario come il sindaco Paul Rösch alla ripresa della produzione, suonano come una sentenza e tracciano la probabile rotta che parte dallo svuotamento degli impianti. Per tutto il periodo necessario per lavorare le sostanze pericolose sarà la Provincia a farsi carico dei costi. Si è parlato di un minimo di tre mesi. Ultimate le operazioni, i lavoratori (al momento una settantina) verranno licenziati. Qualcuno potrebbe andarsene prima, complicando le procedure.

I curatori del fallimento, terminata questa fase, cercheranno un compratore per immobili, attrezzature e terreni. Ed è qui che dovrà uscire allo scoperto il gruppo di imprenditori locali che aveva messo sul piatto mezzo milione di euro per acquistare il complesso accollandosi la bonifica, offerta che – a detta di Kompatscher – sarebbe ancora valida.













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