«Gli italiani d’Austria vittime degli opposti nazionalismi» 

Bolzano, il 26 aprile al Trevi un capitolo poco esplorato della Grande Guerra


di Paolo Campostrini


Gli austriaci li presero a guardare subito con sospetto. «Pensate che a un certo punto i trentini che combattevano in Galizia con le divise imperiali vennero schedati. E se poi finivano prigionieri dei russi - racconta lo storico Andrea Di Michele - gli uffici della polizia austriaca rilevavano come e quando lo erano stati: se feriti la passavano liscia ma se per caso erano stati catturati “in salute” subito venivano registrate le loro famiglie e loro, i soldati, guardati come sospetti traditori semmai fossero tornati...». Destino della gente di confine. Presi per il collo perchè stessero dove i confini li segnavano: di qua o di la. Ma loro, “gli italiani d’ Austria", non potevano che essere quello che erano, uomini dall’ identità spesso multipla e comunque molto indefinita e più si scendeva nella scala sociale meno faceva presa l’ ideologia irredentista o, dall’ altra parte, men che meno quella pangermanista. Persone legate al (loro) paese più che al Paese. E quando finirono prigionieri dei russi, nel 1914, lo Zar scrisse a Roma dicendo: sono vostri, sono italiani, volete che ve li rimandiamo indietro liberi? E l’ Italia, non ancora in guerra, prese tempo. Oppure, una volta chiariti i rispettivi ruoli strategici quegli stessi italiani di confine furono inviati in Siberia, dunque non ancora a casa, perchè l’ Italia interventista voleva essere al fianco delle potenze occidentali nella guerra al bolscevismo. E quando gli emissari sabaudi entravano, a guerra ancora in corso, nelle baracche e chiedevano loro: “Fratelli italiani la patria in armi vi attende, che fate, vestite la nostra divisa?” tanti risposero sì per fuggire dai meno 40 gradi , altri perchè convinti della causa, altri ancora per il sogno di tornarsene in Trentino, finalmente a casa. Ma molti dissero no, niente divisa italiana, non per amore dell’ imperatore ma semplicemente perchè erano a conoscenza che nelle loro valli la polizia austriaca aveva nomi e indirizzi dei loro cari, padri, mogli, figli e aveva già promesso una triste fine se gli uomini al fronte avessero cambiato bandiera. Ecco cosa accadeva per chi, come anticipa il bel titolo del libro dello storico bolzanino Andrea Di Michele, si trovava, appunto: “Tra due divise; la grande guerra degli italiani d’ Austria” (Editore Laterza) . Un volume che sarà presentato al Centro Trevi il 26 aprile (ore 18) . E la novità è che, per la prima volta, Di Michele ha aperto i fascicoli degli archivi centrali, sia a Vienna che a Roma , uscendo finalmente , nella sua ricerca, dalla memorialistica di valle per accedere alla storia.

Erano tanti gli italiani d’ Austria?

«Non pochi, almeno centomila tra trentini e friulani o giuliani. E di questi almeno 25/30 mila finirono prigionieri».

Tanti in proporzione, no?

«Ma c’ è una ragione. Mentre i fronti occidentali erano combattimenti di trincea, linee rigide, la guerra degli imperi centrali in Galizia si svolse con avanzate e ritirate di centinaia di chilometri. Con offensive spesso disastrose che provocavano sacche e un gran numero di soldati restavano intrappolati».

Quando iniziò per i prigionieri italiani in divisa austriaca la necessità di scegliere?

«Quasi subito, già nel ’14, con l’ Italia era ancora neutrale. Per questo le lettere dello zar che si offriva di rimandarli a casa restarono inevase».

E poi?

«Poi emerse il tema: a quegli uomini chiesero da che parte stare e allora fu una tragedia nella tragedia. Perchè quasi tutti non avevano gli elementi, le basi culturali o ideologiche per decidere. E scelsero ognuno secondo la necessità. Chi per finire di soffrire la prigionia, qualcuno per adesione ma moltissimi solo per il desiderio di tornare a casa. Ma il problema nacque quando fu loro chiesto se volevano combattere con l’ Italia».

E che accadde?

«Tanti erano stati informati, dalle lettere che sfuggivano alla censura o da chi era arrivato dopo di loro al fronte, che in Trentino la polizia schedava le famiglie dei prigionieri. E minacciava sanguinose ritorsioni per chi optava...».

Riecco le opzioni vent’ anni prima...

«Destino dei popoli di confine. Costretti a farsi schedare in modo netto, o bianco o nero, quando spesso l’ identità era grigia».

Ma oltre i trentini c’ erano anche i giuliani, italiani dell’ est, no?

«Certamente. Ma con molte differenze. Ad esempio i trentini erano quasi tutti contadini e montanari, i friulani e i giuliani appartenevano invece spesso alle classi borghesi, studenti, proprietari o lavoratori. Il problema è che, a differenza dei trentini tutti con nomi italiani, loro avevano a volte cognomi di ascendenza slava. E allora erano gli italiani che, pur essendo prigionieri, li guardavano con sospetto. E quando molti di loro stavano tornando a casa, nel ’18,furono intercettati dalla Serbia, che iniziò e esaminarli etnicamente. Insomma, una premessa dello scontro italo-jugoslavo per la predominanza nei Balcani che caratterizzò tutti gli anni a venire».

In sostanza, la vicenda degli italiani d’ Austria anticipa tutte le tensioni, i temi, le tragedie, le scelte forzate, financo le opzioni o le foibe che attraversarono tutto il Novecento...

«È così. Furono un laboratorio identitario. E la loro storia una lezione mai imparata abbastanza».













Altre notizie

Attualità