«Il nostro Jazzfestival? Parla anche ai ragazzi» 

Intervista a Klaus Widmann. Il direttore artistico fa il bilancio della rassegna altoatesina Chiusi domenica sera i battenti. «Attenzione e interesse stanno aumentando di anno in anno»


Giuseppe Segala


Bolzano. Il Jazzfestival Südtirol Alto Adige si è concluso domenica scorsa a Bolzano, nel cortile di Ca’ De Bezzi stipato, in un’atmosfera chiassosa e festosa, con l’esibizione dell’istrionico batterista Lukas König, già ascoltato nel 2016 allo Sheraton. La sua proposta iperbolica, decisamente sopra le righe, mescolava senza tante remore rock, funk, poliritmie martellanti, rap, vocalizzi paradossali, riff elettronici. Una modalità che in questa occasione ci è parsa ancora più parossistica, senza un attimo di tregua. A conclusione, i saluti e gli abbracci di commiato tra i numerosi partecipanti e lo staff degli organizzatori sottolineavano una consuetudine a frequentare il festival che si è ormai consolidata negli anni, portando pubblico e addetti ai lavori da tutta Europa e anche dagli Stati Uniti.

La giornata di domenica è stata accompagnata dalla fortuna anche per quanto riguarda la meteorologia: nonostante le previsioni poco incoraggianti, i concerti in alta quota programmati al Rifugio Comici e a Passo Erbe si sono svolti regolarmente all’aperto. Presso il rifugio sotto alla parete del Sassolungo, con lo sfondo maestoso del Gruppo Sella, l’esibizione di SiEA ha messo sulla scena una band tutta al femminile di dieci musiciste, che mescolavano con garbata grinta pop, disco music, funk, jazz. Ma l’ultimo concerto da segnare negli annali del festival è senz’altro quello svoltosi al Centro Trevi di Bolzano nel tardo pomeriggio di sabato, con il quintetto Pipe Dream, che unisce il veterano statunitense Hank Roberts ad alcuni pregevoli esponenti della scena italiana. Dopo due anni di attività e un Cd al proprio attivo, la band ha concluso a Bolzano un tour di otto date, mostrando di avere raggiunto una salda sintonia, un equilibrio dinamico tra forza espressiva e delicatezza di sfumature. Senza dubbio una delle migliori formazioni sulla scena italiana di oggi.

Dunque un buon successo, sia sotto il punto di vista artistico, che nella complessa organizzazione e nella risposta del pubblico, come sottolinea il direttore artistico Klaus Widmann: «Anche quest’anno abbiamo visto aumentare l’attenzione e l’interesse per il festival, sia da parte degli ascoltatori, che degli addetti ai lavori. I direttori artistici di altri festival europei, i produttori e gli organizzatori che amano trascorrere a Bolzano il periodo del festival sono aumentati di numero. Questo favorisce un confronto continuo, un incremento delle relazioni che permette scambi proficui e opportunità nuove anche per i nostri musicisti».

La vostra programmazione porta qualcuno a mettere ormai in dubbio l’etichetta di Jazz Festival...

Uno dei problemi grossi del jazz, oggi, è quello di accedere alle fasce di pubblico più giovani. Una soluzione possibile è quella di avvicinarsi ai loro gusti, proponendo musica di qualità. Ad esempio, i concerti programmati a notte fonda al Sudwerk erano affollati di giovani, che hanno applaudito in modo convinto. L’esibizione splendida di Blackline, con Francesco Diodati, Leïla Martial e Stefano Tamborrino, coniugava jazz contemporaneo, elettronica, rock progressivo con grande intelligenza: vedo in questa proposta e in tante altre la possibilità di far crescere un pubblico competente a curioso, anche tra i giovani.

C’è già un’idea di quale tematica si affronterà nell’edizione del 2020?

È naturalmente troppo presto per programmare. Vedremo meglio a bocce ferme. Però un’idea potrebbe essere quella di individuare un numero di musicisti che si sono dimostrati particolarmente progettuali nelle edizioni più recenti e di affidare a ognuno di loro un paio di concerti secondo le loro idee, assemblando formazioni selezionate da loro stessi.

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