L’INTERVISTA»ALESSANDRO MARZO MAGNO E L’ARTE RUBATA

Fu quando iniziò a dubitare seriamente di non poter salvare la pelle che a Karl Wolff, capo delle Ss in Italia, venne in mente l’ Alto Adige. Erano le ultime settimane di guerra, primavera del ’45....


di Paolo Campostrini


Fu quando iniziò a dubitare seriamente di non poter salvare la pelle che a Karl Wolff, capo delle Ss in Italia, venne in mente l’ Alto Adige. Erano le ultime settimane di guerra, primavera del ’45. Lui sapeva che le più grandi opere d’ arte del rinascimento erano nascoste a San Leonardo in Passiria e a Campo Tures. Le avevano portate via i suoi quando, nel ’44, Firenze finì nel mezzo del fronte dei combattimenti. Per salvarle, dissero. O poi trafugarle, pensavano. Lui conosceva il nascondiglio, gli americani no. Dunque lo usò, come pegno per la resa: «Se vi dico dove sono, mi firmate questo armistizio?». Glielo disse. E glielo firmarono. Fu così che l’ Alto Adige evitò d’ un soffio di essere il teatro di una delle più grandi spoliazioni della storia. Perchè Bormann, il delfino di Hitler volevi portarli in Germania, quei tesori, e sia quel che sia. E Hofer, il Gauleiter del Tirolo, capo dell’ Alpenvorland, pure. Lui non voleva “neppure farle più vedere agli italiani”: desiderava vendicarsi per l’ annessione dell’ Alto Adige. Wolff invece, voleva salvarsi. Vinse Wolff. Tutto questo lo ha raccontato lunedì al Trevi Alessandro Marzo Magno che ha inseguito nei secoli i grandi saccheggi e saccheggiatori d’ arte della storia e ne ha fatto un libro”Missione grande bellezza, gli eroi e le eroine che salvarono i capolavori italiani saccheggiati da Napoleone a Hitler” (Garzanti, 20 euro). L’abbiamo intervistato.

Perchè finirono in Passiria e a Campo Tures quei capolavori?

«Per caso. Quando l’ Italia, soprattutto quella centrale, iniziò ad essere investita dal fronte, i sovrintendenti e i direttori dei musei tentarono di mettere in salvo le opere. Quello delle Marche le condusse in Vaticano, quello di Firenze no, le tenne lì. E allora ci pensarono i tedeschi a salvarle a modo loro».

Mesi agitati...

«Eh , sì. Pensi che la moglie del sovrintendente marchigiano Rotondi, durante il salvataggio mise “la tempesta” del Giorgione sotto il letto del figlio...»

E le opere fiorentine?

«Erano le più preziose e finirono in Alto Adige. Quando gli alleati le ritrovarono, su indicazione di Karl Wolff subito dopo la sua resa incondizionata al Nord, scoprirono anche suppellettili per banchetti e champagne. Forse lasciate lì da Hofer, il Gauleiter del Tirolo, che se le godeva e per vendicarsi dell’ annessione del ’18 non voleva che gli italiani mettessero piede nei depositi».

Ma tutti sapevano no?

«Molti, direi. E anche i fascisti della Repubblica Sociale spesso collaborarono con i partigiani e gli alleati per tentare di salvarle. Poi furono portate in gran pompa dagli americani a Firenze. Fu una giornata memorabile perchè riaprirono gli Uffizi...».

Ma non tutte le opere d’ arte italiane tornarono dalla Germania.

«A tutt’ oggi, secondo i dati dei carabinieri, ne mancano 2487. E probabilmente non sono più tutte in mano ai tedeschi».

E a chi?

«Ai russi. Gli americani restituivano le opere ritrovate dopo la conquista dei territori tedeschi, i sovietici no. Pare che al museo Puskin ce ne siano 800. E in tutto la Russia ne avrà ancora un milione , non solo italiane».

Nel libro si parla anche la fase antecedente al ’43, in cui i tedeschi alla fine degli anni Trenta rastrellano l’ Italia a caccia di opere...

«Le compra soprattutto Goering. Allettando galleristi e antiquari. In teoria avrebbero dovuto restare in Germania, come acquisti privati, invece gli alleati fanno l’ unica modifica al trattato di pace con l’ Italia per farci avere anche queste. E torna così, per dirne una, il discobolo di Mirone».

Saccheggia anche Napoleone?

«E certo. Venezia è depredata, letteralmente. Ma poi, dopo Waterloo lo Stato della Chiesa manda a Parigi Antonio Canova. È il più grande artista dell’ epoca e riesce a riportare in Italia centinaia di opere. I francesi, che cercano senza successo di opporsi, lo rinominano “l’ imballatore”».

Napoleone come Hitler?

«Certo che no. I nazisti rubano solo per puro saccheggio personale. Napoleone ha una motivazione politica: vuole “liberare” l’ arte. Toglierla dal buio delle chiese e dei monasteri per “dare a tutti il diritto di goderne”. Con lui nasce il museo moderno. E la pinacoteca di Brera, che diviene il Louvre del re d’ Italia. Anche se con tutti i grandi veneziani rubati alla Serenissima...».

E chi sono i “monuments man” italiani?

«Tanti. Anche molte “women”. Il più famoso è Rodolfo Siviero. Ex fascista, poi partigiano in Toscana. Figura ambigua. Salva subito la collezione di De Chirico murandola a Palazzo Pitti. Alla fine recupererà 3mila opere. Ma tante sono ancora scomparse. La II guerra non è ancora finita...».















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