L’INTERVISTA»ANTONELLO SACCHETTI RACCONTA L’IRAN

ROVERETO. È indubbia la portata storica della rivoluzione che nel 1979 ha determinato la caduta dello scià di Persia Reza Pahlavi e la nascita della Repubblica islamica dell’Iran. Affermazione di un...


di Maria Viveros


ROVERETO. È indubbia la portata storica della rivoluzione che nel 1979 ha determinato la caduta dello scià di Persia Reza Pahlavi e la nascita della Repubblica islamica dell’Iran. Affermazione di un potere religioso integralista o primo possibile passo verso una conciliazione fra religione, libertà e modernità? Dopo quarant’anni, com’è oggi il Paese? Che peso ha il recente passato nella vita politica, economica e sociale? Quali conseguenze ha avuto nella dimensione privata della popolazione? Ne discuterà oggi, sabato 19 dicembre, alle ore 19, Antonello Sacchetti, ospite della Libreria Arcadia a Rovereto. Giornalista, fondatore del blog “Diruz. L’Iran in italiano”, ha dedicato al Paese mediorientale molti libri, tutti pubblicati da Infinito Edizioni. L’ultimo, “Iran, 1979” (€ 14 eurp), propone un’acuta lettura dell’Iran di oggi, con le sue contraddizioni, in bilico fra tradizione e modernizzazione, per capirne la storia, la politica e per indagare su vite e sogni realizzati o infranti. Abbiamo posto delle domande a Sacchetti, prima del suo intervento a Rovereto.

Quella del 1979 è stata una rivoluzione islamica o iraniana?

«Viene comunemente considerata “islamica”, ma non nasce come tale. All’interno della rivoluzione, infatti, vi sono anime diverse che trovano nello ayatollah Khomeini un leader comune, che diventa guida suprema della rivoluzione e assume il potere. Non va dimenticato, poi, che la rivoluzione, dal momento in cui nel 1978 cominciano i disordini e ci sono le prime vittime, ha nel calendario religioso dell’Islam una sorta di riferimento. Agli inizi del ’78, infatti, scatena una serie di proteste un articolo pubblicato sul giornale governativo “Ettelaat”, che si scaglia contro gli oppositori reazionari, attaccando in modo violento Khomeini, in esilio da sedici anni. L’esercito spara sulla folla, innescando un meccanismo diabolico. Per gli sciiti, infatti, i morti vengono ricordati dopo quaranta giorni e quaranta giorni dopo, in occasione della commemorazione dei morti ammazzati dall’esercito, scoppiano nuovi disordini che provocano altri morti che, ancora una volta, vengono ricordati dopo quaranta giorni. Questa cadenza luttuosa, assecondando il calendario, ha scandito tutto il 1978. Anche le importanti ricorrenze religiose per gli sciiti, il Ramadan o il Muharram, diventano occasioni per grandi manifestazioni di protesta. Ecco perché, al di là di malcontento sociale e crisi economica in atto, in questa rivoluzione la componente islamica è preponderante».

Oggi è dall’interno o dall’esterno che proviene il pericolo maggiore per il regime?

«A mio parere, in questo momento non ci sono pericoli per la Repubblica islamica. Sicuramente c’è un malcontento sociale ed economico, ma gli iraniani non vogliono che il regime venga rovesciato. Sanno benissimo cosa significa una rivoluzione e non vogliono neanche immaginarne un’altra. C’è da aggiungere che monito molto forte per gli Iraniani è la situazione in Siria e in altri Paesi vicini, come l’Afghanistan, anche se si tratta di realtà diverse. L’Iran, poi, è una Repubblica che ha al suo interno mezzi di partecipazione tali che rendono molto difficile un cambiamento del sistema. A questo si aggiunga che le sanzioni economiche rafforzano il Paese che, di fronte a una minaccia esterna, si compatta, com’è successo anche in occasione della guerra contro l’Iraq. La rivoluzione ha rafforzato lo Stato. Basti guardare la mappa del Medio Oriente nel 1979 e confrontarla con quella di oggi: è cambiato tutto, dall’URSS all’Afghanistan, ma la Repubblica islamica è rimasta in piedi ed è uno dei paesi più stabili».

E le manifestazioni di piazza a Teheran o in altre città?

«Certo, non mancano tensioni, scontri, ma la Repubblica islamica è una macchina che impara. Dopo la rielezione di Ahmadinejad, pareva impossibile rimanesse in piedi, invece le elezioni successive, quelle che hanno portato al governo Rohani, hanno registrato una grande affluenza alle urne per esprimere malcontento. Anche prima della rivoluzione non c’era la democrazia. È paradossale, ma la Repubblica islamica, nonostante abbia, per esempio, cancellato diritti di famiglia o reso obbligatorio lo hijab, sta comunque registrando adesso una maggiore partecipazione alla vita politica e sociale anche di classi un tempo ai margini. Ora, le donne iscritte all’università sono più numerose degli uomini. Inoltre, anche se in forma limitata, le ultime elezioni parlamentari hanno fatto registrare il record della presenza femminile in parlamento».

Qual è il ruolo dell’Unione Europea nei confronti dei rapporti USA-Iran?

«L’Unione Europea ha recentemente avuto un importante ruolo nell’accordo sul nucleare. Oggi, però, la sua politica è fragile e l’Iran se ne rende conto, tanto da spostare il suo sguardo verso Oriente. Può portare avanti con altri, come Russia o Cina, gli stessi progetti ambiziosi condotti in accordo con l’Europa».

Fino allo scorso anno, l’Italia è stata il principale partner economico dell’Iran. Il nostro nuovo governo sta proseguendo in questa direzione?

«Dopo il viaggio di Conte a Washington c’è stato un netto cambio di rotta. L’Alitalia, per esempio, a partire dal primo gennaio di quest’anno ha interrotto la tratta Roma-Teheran. Il segnale è forte e negativo: interrompe un dialogo e crea forte disagio negli imprenditori, dopo gli importanti accordi commerciali stipulati con l’Iran successivi al primo viaggio di Rohani in Italia nel 2015. Oggi il nostro governo sta facendo il gioco di Trump e per noi è un danno enorme.













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