L’INTERVISTA »DON LUIGI CIOTTI A BOLZANO

BOLZANO. Don Ciotti ha sempre quella faccia un po’ così. Ancora con l’ aria che, immaginiamo, aveva a 17 anni, su e giù dai tram di Torino a studiare elettrotecnica, dentro e fuori dalla parrocchia...


di Paolo Campostrini


BOLZANO. Don Ciotti ha sempre quella faccia un po’ così. Ancora con l’ aria che, immaginiamo, aveva a 17 anni, su e giù dai tram di Torino a studiare elettrotecnica, dentro e fuori dalla parrocchia ma con l’ occhio sveglio di chi ci era arrivato da Pieve di Cadore per andare ad abitare col papà nella baracca di un cantiere accanto alla mamma che lavava e stirava gli abiti della Caritas: «Ma li lavava e li stirava così bene che poi profumavano di pulito» dice con ancora gli occhi di quel ragazzo di allora guardando ad uno ad uno le centinaia di ragazzi della Claudia de Medici. «Se le prediche fossero come le sue andrei sempre in chiesa» dice uno, ben al sicuro negli ultimi posti. Ma non è stata una predica quella di don Luigi Ciotti, una vita sempre in piedi in mezzo agli ultimi e anche a quelli che erano primi e poi hanno inciampato: gruppo Abele, la lotta alla droga e alle devianze, poi Libera, la trincea nata dal basso per opporsi alle mafie. «Attenti - dice - perchè non è vero che sono solo in Sicilia ma anche qui, anche in queste province sicure. Hanno mezzi, denaro. Non conoscono le distanze...». Vicino a lui Guido Margheri sorride amaro: «C’è chi lo nega da sempre. E invece, ecco...». La Libera di don Ciotti è infatti anche Anpi, che lo ha invitato a Bolzano con la sezione bolzanina di Licia Nicoli e l’ Istituto De Medici, come lo sono gli scout, l’ Azione cattolica, tante associazioni ecologiste. Don Luigi è il prete che ognuno di noi vorrebbe avere accanto quando le cose vanno male. Ma anche quando vanno bene: «Io non sono io, siamo noi. Niente si fa da soli. Diffidate dei navigatori solitari, di chi ha capito tutto...».

E se lo troviamo, se troviamo leader ottimo?

«Salutatemelo ma poi cambiate strada. Che di solito non è mai quella più semplice».

Ci sono tanti ragazzi qui, nell’ aula magna.

«Non vedo una faccia uguale all’ altra. Siete, siamo tutti diversi, tutti tutti. La diversità è la nostra ricchezza, non contrastatela».

Oggi ci fa paura don Luigi...

«Perchè siamo soli. Lo sa cosa dice l’ultimo rapporto Censis?»

Prego.

«L’indagine mette al primo posto la solitudine delle persone. È terribile ma è così. Questo è il cinquantaduesimo rapporto. Racconta cosa siamo diventati e come siamo cambiati».

In peggio?

«Ci sono tre parole chiave a definire l'Italia, che io amo così tanto: disgregata, impoverita e impaurita. Ecco, la paura è il nemico. Prima quella del diverso».

Parla dei migranti?

«Guardi, io vengo dalle Dolomiti , sono nato a Pieve di Cadore. So cosa spinge migliaia di persone a cercare altrove la propria dignità. Mio papà la cercò altrove. A Torino trovò lavoro ma non la casa. In cantiere gli dissero: Ciotti, se vuole c’ è questa baracca... Avevo cinque anni. Ma lì ho conosciuto come si può crescere, incontrare persone memorabili come un grande medico piemontese che per gli inciampi della vita era finito a fare il barbone e chi mi indicò un bar. Allora non si parlava di droga ma vidi giovani riempirsi di sostanze e poi perdersi...».

E nacque l’ idea del gruppo Abele.

«Occorre sempre assumersi le proprie responsabilità. Ad ogni età si può cambiare il corso della nostra vita. Ma non bisogna mai essere neutrali. Il Vangelo ad esempio».

Che occorre fare?

«Bisogna viverlo, non solo pregare. Questo dice il Papa. Ma poi siamo anche cittadini di questa Repubblica».

E allora?

«Da una parte c’ è il Vangelo ma dall’ altra c’ è la Costituzione. E dunque io dico: viviamo anche quella. Ma in prima persona. E invece tanti di noi sono afflitti dalla malattia dei nostri tempi, quella della delega. In questo modo la Costituzione un po’ la tradiamo».

Lei a Bolzano ha conosciuto don Bertagnolli.

«È ancora qui con me, Una vera amicizia non muore. Una volta mi chiese: don Luigi, parla col vescovo , chiedigli di darmi un po’ più di tempo... Ci andai, c’ era allora Gargitter, mai ho conosciuto vescovo così umile. Bene, mi disse, diamogli tempo. Nacque la Strada-der Weg . Ecco cosa intendo per assumersi le responsabilità anche da cittadini».

Come si vive sotto scorta?

«Si vive. Libera è una rete che fa paura perchè non sono io, siamo tantissimi. E in tutto il mondo. Ha fatto cose insopportabili per i mafiosi. Una è la confisca dei beni. A cui loro tengono tantissimo. Ma ha fatto un’ altra cosa, ancora più terribile per i boss: ha dato quei beni alla gente, non ai privati, alle cooperative di giovani».

Quando ha iniziato la sua vita protetta?

«Una volta intercettarono una conversazione nel carcere di Opera. Totò Rina diceva: quello bisogna farlo fuori come don Puglisi».

Quello era lei?

«Sì, da allora è così. Una volta, in Piemonte, dico in Piemonte, due ragazzi della scorta fermarono uno che aveva superato i controlli e mi veniva incontro con la pistola in mano. Ecco perchè Libera combatte. È un aiuto a tutti i siciliani che lottano da anni , in silenzio. Io dico: non siete soli. Come dico a tutto il nostro bellissimo Paese, anche in questo momento di abbruttimento: non siamo tutti impauriti, ci sono cose bellissime. Tante imprese sconosciute, un'infinità di persone che lavorano e fanno il loro dovere, si assumono responsabilità, non delegano al navigatore solitario».

Un giorno che ricorda?

«La strage di Capaci. Le parole che avevo sentito poco prima dal giudice Falcone. La sua intelligenza e il rigore. Ecco, lì è nato il desiderio di mettersi in marcia contro l’ illegalità, facendo cose concrete, non più limitandosi a dire “siamo contro le mafie” ma iniziando a vivere di conseguenza».

Prima, ha chiesto ad uno studente per che squadra tifa. Lui è della Juve. E lei, del Toro, dicono...

«Io amo i calciatori che giocano bene ma che offrono anche esempi belli. Di comportamento, di dignità. Conta molto per i giovani. E sa una cosa? Io ho sposato Del Piero. Sì, il campione bianconero. Anni prima, Alex andò al funerale del papà , nel padovano. Invece del silenzio e del dolore trovò chi urlava : Juve, Juve. Voleva evitare questo il giorno in cui si sarebbe sposato. Mi chiese: don Luigi, vuoi farlo tu? Ecco, l’ ho fatto. Anche Del Piero era un ragazzino, appena 16 anni quando lasciò il Veneto per Torino».

Un po' come lui. Come don Luigi.













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