L’INTERVISTA »OMAR BELLICINI

TRENTO. Gli occhi e il pensiero di chi compie gli attentati. È questa l’ idea con cui è stato concepito il convegno “Nella mente di un terrorista. Per un approccio multidisciplinare al fanatismo”,...


di Piergiorgio Cattani


TRENTO. Gli occhi e il pensiero di chi compie gli attentati. È questa l’ idea con cui è stato concepito il convegno “Nella mente di un terrorista. Per un approccio multidisciplinare al fanatismo”, che si terrà giovedì 15 novembre, a partire dalle ore 15, presso la facoltà di Giurisprudenza dell’ Università di Trento, in via Verdi 53. Oltre ai curatori, il professor Antonio Cassatella (Presidente dell’associazione Alumni) e il giornalista Omar Bellicini, interverranno l’ Ambasciatore Armando Sanguini; il direttore di Tgcom24, Paolo Liguori; il Comandante del Reparto Antiterrorismo dell’ Arma dei Carabinieri, Colonnello Marco Rosi; Ruben Razzante, docente di Diritto dell’ Informazione all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; Antonio Karim Lanfranchi, psicoanalista italo-egiziano diplomato all’Istituto C.G. Jung di Zurigo.

Rispetto a qualche tempo fa il fenomeno del terrorismo sembra uscito dai riflettori dei media e dall’attenzione politica. Proprio questo clima meno esasperato può favorire un’analisi più approfondita. Per questo è tanto più significativo il convegno che analizza un fenomeno complesso come il terrorismo islamista attraverso un approccio multidisciplinare. Abbiamo posto alcune domande a uno dei curatori, Omar Bellicini.

Il 27 ottobre è avvenuta una strage in una sinagoga a Pittsburgh. L’ assassino è un uomo bianco, un antisemita, estremista di destra. L’episodio è stato presto dimenticato. Non si è parlato quasi di terrorismo. Possiamo immaginare cosa sarebbe accaduto se l’ autore della strage fosse stato un musulmano, immigrato da qualche paese arabo... come mai queste differenze?

«Il motivo principale è che le persone tendono a rifiutare l’ idea di essere nel torto. Più un fatto viene considerato aberrante, più si ha la tendenza ad allontanarlo da sé, proiettandolo sugli altri e in particolare sui diversi. L’ attentatore di Pittsburgh, bianco e occidentale, ha caratteristiche molto simili alla maggior parte dei cittadini europei. Ciò favorisce un processo di immedesimazione che rende la notizia fastidiosa. Il terrorismo islamista, al contrario, viene considerato estraneo alla nostra tradizione. Un aspetto che lo rende perfetto per incarnare il male in una versione più digeribile, dunque più intrigante».

Il titolo della conferenza parla di terrorismo “islamista”. Perché è stato messo questo aggettivo? Non era meglio “islamico” o ancora meglio “di matrice religiosa”?

«L’ aggettivo “islamico” rischia di portare fuori strada, perché richiama l’ Islam nella sua interezza. “Islamista”, invece, evoca quel concetto di Islam politico cui fanno appello solo alcuni. Per esempio, i gruppi terroristici. A qualcuno sembrerà una sottigliezza, ma la distinzione è d’ obbligo. Anche perché le prime vittime degli islamisti sono proprio gli islamici. I numeri parlano chiaro: solo nel 2015, annus horribilis degli attentati in Europa, sono state circa 23 mila».

Quali sono le caratteristiche peculiari di questo tipo di terrorismo?

«Come tutte le forme di terrorismo religioso, la sua particolarità è quella di promettere dei vantaggi che vanno al di là di soddisfazioni meramente pratiche e immediate. Il militante può anche essere premiato con un miglioramento della propria condizione “in terra”, ma a questa prospettiva si somma quella di una ricompensa nella vita ultraterrena».

La questione della ricompensa ultraterrena è così centrale? Per esempio lo studioso Olivier Roy sostiene che non ci troviamo di fronte ad una fede fanatica che si radicalizza ma ad una radicalizzazione già presente che poi ricerca un aggancio religioso. Cosa pensa a proposito?

«Concordo con Roy, ma sul punto bisogna intendersi. Il discorso sulla radicalizzazione va sicuramente oltre la questione strettamente religiosa e la secolarizzazione ha certamente influenzato anche i gruppi che si riallacciano a messaggi di fede, ma questo non esclude l’efficacia propagandistica della promessa “ultraterrena”. Può sembrare una contraddizione, ma non lo è se ci si concentra su uno dei principali fattori della laicizzazione di cui parliamo: il consumismo. I giovani che si lasciano sedurre dalle promesse dei reclutatori accolgono la prospettiva di un aldilà felice con lo stesso spirito con cui accolgono le promesse del marketing pubblicitario. Il problema è che i consumi terreni non riescono a soddisfare le loro ambizioni. Quindi, non fanno che trasferire in paradiso i piaceri che vorrebbero avere in terra, e che non hanno. Ma questa, evidentemente, non è spiritualità».

Nel 2017 lei ha scritto per Einaudi un libro intervista con lo psicanalista Luigi Zoja: nel colloquio si sofferma sugli aspetti psicologici alla base del terrorismo. Basta questo per capire che cosa si cela nella “mente di un terrorista”?

«Le discipline della mente sono indispensabili, ma non sufficienti. È opportuno integrare il dibattito con altre forme di sapere. Per esempio, l’analisi politica o l’arte investigativa. Perfino con un approccio come quello giornalistico. Questi ambiti non collaborano abbastanza: l’affinamento professionale serve, ma non può diventare un alibi per restare confinati nella propria sfera di competenza».

Il fanatismo, l’ estremismo sembrano essere una tendenza globale. Quale è il confine con il terrorismo?

«Il fanatico è un terrorista potenziale. Quando si adotta un modo radicale di vedere le cose, per cui esistono solo il vero e il falso, il giusto e lo sbagliato (e, ovviamente, “io” sono sempre nel giusto e gli altri in errore), la tentazione di ribadire con la forza quale sia la via della verità e della giustizia diventa quasi irresistibile. Il passaggio all’azione può essere un fatto di circostanze. E questo non riguarda solo la religione. L’unico freno che abbiamo è la consapevolezza della complessità del mondo, che è prima di tutto consapevolezza di sé. Per questo mi lasci dire che, se il confine tra estremismo e terrorismo è sfumato, non lo è il confine tra fanatismo e tolleranza. Si chiama cultura».

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