«La Commedia dell’Arte è più viva e attuale che mai» 

Claudia Contin, il più grande Arlecchino donna del mondo, si racconta per l’8 marzo «Con una maschera addosso ci si libera del bon ton sociale». Workshop a Bolzano


di Daniela Mimmi


BOLZANO. È con tutta probabilità la più grande Arlecchino donna del mondo, Claudia Contin, e va giustamente messa sotto i riflettori oggi 8 marzo, nella Giornata internazionale che celebra il femminile. Lei è tanto Arlecchino che dal 2014 si chiama così anche sui documenti ufficiali. Sarà lei a tenere il workshop di “Sottosopra il teatro”, iniziativa nata per offrire una panoramica sui linguaggi, l’arte e l’artigianato del teatro aperta a tutti gli interessati, una bottega del teatro da vivere in prima persona organizzata dal Teatro Stabile di Bolzano e dal Centro Giovani Vintola 18, dove avrà luogo il workshop, sabato 10 marzo dalle 15 alle 20 e domenica 11 marzo dalle 10 alle 18. Conosciuta e amata in tutto il mondo come Arlecchino, Claudia Contin è di fatto la prima donna ad interpretare con continuità sin dal 1987 il ruolo maschile di una delle Maschere più famose ed amate della Commedia dell’Arte italiana. Dopo aver studiato a Bologna e a Venezia, con Ferruccio Merisi ha fondato a Pordenone nel 1990 la Scuola Sperimentale dell’Attore. Oltre che in spettacoli con le Maschere della Commedia dell’Arte, Claudia Contin Arlecchino è impegnata nella drammaturgia contemporanea ed è autrice di testi teatrali e di saggi teorici.

Quale lo scopo di questo workshop bolzanino?

«Il corso non è solo per gli attori, non si impara solo la gestualità che serve agli attori. Comunque, ad esempio, Aldo, Giovanni e Giacomo hanno mosso i loro primi passi nella Commedia dell’Arte. Si impara l’ironia, si impara ad accompagnare le parole con la gestualità. Le maschere non sono oggetti anacronistici. Anzi, in un momento in cui c’è il culto dell’immagine e tutti si fanno selfie e si mettono in mostra, la maschera ha un effetto liberatorio, ci libera da ciò di cui abbiamo paura. Non c’è bisogno del bon ton sociale con una maschera addosso, ci liberiamo come non avremmo il coraggio di fare nel sociale, ma solo nel privato. Non abbiamo più paura di mostrarci. Ci sveliamo solo togliendo la maschera. Questo è molto importante per i giovani. Loro sono più repressi, più timidi, più schiavi delle regole sociali della nostra generazione che ha fatto il Sessantotto, sono meno ribelli e meno liberi».

Quali sono le difficoltà a insegnare Arlecchino?

«Io lo insegno ormai da 30 anni. La cosa difficile è insegnare alle nuove generazioni che Arlecchino non è un museo, ma un saltimbanco, un giullare dei nostri tempi. I giovani hanno fame di cose nuove ed hanno energia. Basta trovare la chiave giusta».

Quando, come e perché si è innamorata di Arlecchino?

«è stato lui che mi ha scelto! Lui mi ha costretto a fare tutto ciò, lui ha preso la mia vita, ed è il mio migliore amico. Io l’ho lasciato fare. Ho cominciato a fare Arlecchino che avevo 12-13 anni. Non so perché, ma mi affidavano sempre quel ruolo. Mi piace perché è un eterno bambino, è un ribelle, una persona libera, è iperenergetico, come me. Mi sta talmente bene addosso che per tutti, in tutto il mondo, io ero Claudia Arlecchino. C’erano sempre dei problemi e delle incomprensioni quando io davo le mie generalità. Così ho fatto aggiungere il nome Arlecchino sui miei documenti ufficiali».

Il suo Arlecchino femminile è diverso da quelli maschili?

«Non ho mai avuto di questi problemi di genere. Il mio anzi è un Arlecchino piuttosto maschile, per niente effeminato, più simile a quelli antichi che a quelli goldoniani. Adesso, paradossalmente, ci sono più problemi di genere che nello scorso secolo. Il mio Arlecchino piace anche alle donne, perché anche se si comporta in modo scriteriato nei confronti del gentil sesso, tutto gli viene perdonato. Il mio Arlecchino è libero, dà fiducia ed è anche materno. Non è solo Pulcinella che si autogenera partorendo uova, anche il mio Arlecchino fa i figli».

La Commedia dell’Arte ha più successo all’estero che in Italia. Come mai?

«Perché in Europa, in Russia, negli Stati Uniti viene considerata la madre di tutte le avanguardie. In Italia è considerata un museo. Studiarlo e interpretarlo può essere un nuovo impulso per i giovani che vogliono andare a lavorare all’estero».















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