La congiura di Catilina? Fulminante contemporaneità 

Il nuovo romanzo dello scrittore meranese è anche il suo libro più bello


di Carlo Martinelli


Se uno si picca di essere Bandologo - tra gli stordimenti letterari oggi possibili, uno dei più raccomandabili - affronta la nuova fatica letteraria del Nostro (ma sì, Alessandro Banda, per distacco oggi ed ancora il più importante scrittore altoatesino di lingua italiana) anche da un mero punto di vista numerico, per cominciare. Perché è del tutto evidente, la cosa. Il suo “Congiura”, freschissimo di stampa per i tipi di Guanda, 19 euro, conta 329 pagine. Il Bandologo sussulta e si precipita alla libreria di casa dove, in ordine cronologico, ritrova tutti i libri del Nostro. Quelli che, a partire dal fulminante esordio einaudiano del 2001, lo hanno indicato come uno degli scrittori italiani più importanti, certamente tra i più originali, refrattario ad ogni facile classificazione, alfiere di un genere che è solo e soltanto suo. Già. “Congiura” straccia bellamente tutte le altre lunghezze. “Dolcezze del rancore”, il primo libro appunto, si fermava a 107 pagine. Poi, attenendoci solo alle opere narrative, ecco in rapida successione, “La verità sul caso Caffa”, 156 pagine; “La città dove le donne dicono di no” (la sua Merano, ndr.), 216 pagine; “Scusi, prof, ho sbagliato romanzo”, 185; “Come imparare ad essere niente”, 152; “L’ultima estate di Catullo”, 195 pagine; “ Il lamento dell’insegnante”, 171 ed infine “Io, Pablo e le cacciatrici di eredità”, 133 pagine.

Direte: bastano le cento e passa pagine in più messe in campo per “Congiura” a spiegare perché Banda abbia lavorato una decina di anni (ipse dixit) a questo romanzo? Certo, la mole spiega, ma solo in parte. Dicono molto di più le sei pagine finali della nota bibliografica. Che racconta delle letture, imponenti a dir poco, totali, onnivore, esaustive, che Alessandro Banda (classe 1963) ha affrontato per poi restituirci, in forma di un romanzo che non assomiglia a nessun altro (non può assomigliare, l’originalità del Nostro, va ribadito, sta nel frequentare un altro modo di scrivere e di elaborare trame) quel che succede a Roma, 63 avanti Cristo, nei giorni della congiura di Catilina. Sissignori. Il dichiarato amore di Banda per le cose di Roma antica (non a caso c’è Catullo nel titolo di un altro suo romanzo) lo ha spinto ad esplorare a modo suo uno degli avvenimenti cardine della storia antica.

Non tergiversiamo. Ed appoggiamoci pure, claudicanti (quanto dobbiamo alla lingua latina? quasi tutto, claudicante compreso) al risvolto di copertina del romanzo. A proposito: l’immagine di copertina è un particolare del celebre quadro di Cesare Maccari, “Cicerone denuncia Catilina in Senato” che possiamo ammirare, a Palazzo Madama, sede del Senato italiano...

Il romanzo, dunque. Citando il risvolto che per stile, sintassi incalzante, ammaliante distacco, rassegnata constatazione, viene voglia di ascrivere allo stesso autore. Sia quel che sia, è così: siamo a Roma nell’anno 63 avanti Cristo – o 691 dalla fondazione, come dicevano i Romani. Anno di grandi inquietudini. Catilina sta preparando la sua congiura. Cicerone, che è console, la sta scoprendo grazie a una spia. Cesare diventa Pontefice Massimo. Crasso, che è già ricco, arricchisce ancora di più. Cesare e Crasso si alleano, unendo abilità politica e sostanze pecuniarie. Contemporaneamente, a Gerusalemme, Pompeo sconfigge i Giudei ed entra, primo Romano a farlo, nel Sancta Sanctorum del Tempio. Accanto a questi personaggi celebri, che si incontrano nelle loro case e tessono le loro trame con dialoghi spregiudicati, diversi dalle tesi sostenute nell’ufficialità, c’è il popolo che si raduna nelle osterie e nelle botteghe di barbiere, commentando i fatti degli uomini illustri con un controcanto demistificante: un coro pettegolo e malevolo, ma spesso veritiero. Le vicende precipitano: Catilina, incalzato dall’oratoria ciceroniana, si allontana da Roma. Giunge in Etruria. Si unisce a un esercito raccogliticcio. Combatte da eroe disperato che deve seguire il proprio destino contro i soldati regolari mandati dal console. Quando muore gli appare il dio Vertumno, il dio del mutamento, che l’ha sempre guidato. Intanto Pompeo sta per rientrare a Roma dall’Oriente. L’anno si chiude in un clima di sospensione e misteriosa aspettativa.

E la nostra, di aspettativa, non è delusa. “Congiura” è romanzo di fulminante contemporaneità. I capitoli (sono 51, dall’iniziale “Una casa nella Suburra” al finale “E Pompeo?”, appena preceduto da “E Catilina?”) ambientati nelle tonsrine, ossia le botteghe di barbiere dell’antica Roma, oltre che nelle osterie e nelle taverne, ci raccontano delle fake news (pardon, notizie false) ante litteram. I capitoli dove fa capolino il sesso - il romanzo inizia con l’amplesso di Curio, un nobile spiantato e di Fulvia, forse nobilissima forse prostituta - ci raccontano ante litteram le olgettine e i tanti ricatti che schiantano (oppure no) il politico e il potente di turno. Di più: i comizi, i discorsi - il romanzo dà voce a Cicerone, Catone, Cesare, mica scartini da campagna elettorale in corso - restituiscono al meglio i meccanismi del potere, della persuasione, del ruolo, della simulazione, del tradimento.

Il tutto ammantato dalla rassegnata eppure vitale e creativa visione del mondo - di quello antico e di quello moderno, va da sé - che informa la scrittura del Nostro. Basti un passaggio: “Non saremo che morti totali, assoluti estinti con cui dei moribondi sconosciuti, appartenenti ad una civiltà a sua volta moribonda, tenteranno disperatamente d’identificarsi senza una ragione precisa”. In questa dolorosa constatazione - gli assoluti estinti sono Catilina e i suoi contemporanei, la civiltà moribonda è la nostra, quella di Banda e di chi lo legge, ammirandolo - risiede la magnetica vitalità della “Congiura”. Un romanzo che racconta, con i tratti tipici anche del divertimento surreale nel quale Banda è maestro, l’eterno ritorno della grande storia e dei piccoli uomini. O, se preferite, di grandi uomini rimpiccioliti dalla storia. Una certezza, infine: per questa incursione dotta, amaramente divertita nella classicità, Alessandro Banda merita un posto tutto suo tra i classici contemporanei. Colà lo collochiamo. O tempora, o mores.















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