«La democrazia arretra» 

Intervista allo storico Claudio Vercelli. Il docente oggi pomeriggio alla Biblioteca Civica di Bolzano si invito del circolo culturale dell’Anpi «Tra il 1919 di Mussolini e dei “sanpolcristi” e l’Italia del 2019 c’è un punto di contatto: una domanda di rappresentanza non compresa»


Paolo Campostrini


Bolzano. Benito Mussolini l’ Italia lo scopre, con il suo sguardo da cavare gli occhi ma ancora in cravatta, nel 1919. Anno in cui tutto cambia. Nascono i Fasci , non ancora il “fascio” e si passa dai sansepolcristi ai fiumani , in una Italia in cui tutto era già mutato. «C’era stata una guerra sconvolgente. Gli uomini avevano avuto in trincea una grande prossimità con la violenza fisica, si brutalizzano anche i rapporti sociali, si introduce la soluzione rivoluzionaria del bolscevismo...». Un secolo preciso dopo anche l’Italia del 2019 non è più quella di solo un paio d’anni fa, no? «Se si riferisce ad una possibile rinascita del fascismo, dico subito che nulla si ripete. La storia insegna, non replica. Il rischio, invece, è banalizzare negli slogan, parole complesse e precise come fascismo e comunismo. Invece di comprendere che, se esiste un possibile parallelismo, sta in una domanda incompresa di rappresentanza, allora come oggi, e pur in diversi contesti, in una rappresentanza politica , come i liberali del 1919, che non riesce a rappresentare». E la vicenda di Liliana Segre? «Attenzione: legare l’antisemitismo che la circola anche sui social col razzismo, come è avvenuto in Parlamento, è un orizzonte serio. Molto condivisibile. Invece non dobbiamo dimenticare che esiste sì un retaggio antiebraico antico nella destra ma anche a sinistra oggi si prova a nascondere l’ antisemitismo sotto la coltre dell’ antisionismo, nobilitando il primo col rifiuto di uno Stato come Israele che molti, in certi settori anche progressisti, considerano, a torto, una impostura».

Ecco Claudio Vercelli, storico contemporaneista, docente universitario, punto di riferimento degli studi sul Novecento italiano ed europeo, ricerche su area mediorientale e regimi totalitari. Che sarà a Bolzano oggi, 19 novembre, (ore 18, Biblioteca Civica ) a presentare il suo ultimo libro: “L’anno fatale, 1919: da piazza San Sepolcro a Fiume”, edizioni del Capricorno. Ed è stato invitato dal Circolo Culturale Anpi di Bolzano in collaborazione con la Biblioteca Civica e la Libreria Ubik.

Perché proprio quell’anno, il 1919?

Sono mesi in cui una profonda trasformazione, già in atto in Italia e in Europa , diventa manifesta. C’è il suffragio universale, la guerra è avvenuta dentro un mobilitazione collettiva che ha aperto alle masse e le ha fatte emergere .

Nasce il fascismo ?

Non ancora , ma getta le basi. La guerra ha introdotto un elemento di grande prossimità con la violenza fisica tanto da brutalizzare gli stessi rapporti sociali. C’è voglia di passare dalle parole ai fatti e si trasforma anche il voto. I liberali escono di scena a favore di partiti di massa come i popolari e i socialisti . Nelle piazze ci si scontra. Come in Russia nel 1917. E infatti in Italia si concretizza la paura del bolscevismo .

E Mussolini?

Lui intuisce il cambiamento accelerato in atto. Nascono i Fasci di combattimento, non ancora il partito, ma si configura , anche altrove, il partito-milizia. C’è una militarizzazione dei movimenti e si inizia a intendere la politica come prosecuzione della guerra. E non viceversa, come nei classici.

È l’anno dei sansepolcristi ma anche dell’impresa fiumana.

Episodio emblematico non tanto di un pre-fascismo in nuce quanto di un prodromo che intendeva i processi politici come militanza . E militarizzazione .

Ci sono analogie tra il 1919 e il 2019?

Le si possono ricercare ma proviamo subito ad uscire dalle banalizzazioni. “Lui è fascista, no lui è comunista”. Sono etichette per non comprendere fingendo di aver compreso.... Più che una fascistizzazione della società c’è oggi una contrazione della democrazia .

La storia dunque non si ripete ?

Mai. Aiuta a capire, questo sì. Ma certamente di fronte ad una crisi della democrazia sociale, nel senso di carenze nell’inclusione, appare in questi nostri anni il fenomeno dove chi è escluso diventa riottoso .

Ed è una risposta di che tipo ?

Resta sospesa tra esasperazione e identitarismo. Sicuramente una risposta aggressiva. Introduce modi di dividersi e pesa sulle coscienze .

Dove si possono carpire delle analogie tra le Italie di questi due inizi di secolo?

Sono epoche di transizione. La nostra non connessa ad una guerra ma a una serie di conflitti globali pur non sempre “caldi”. Poi allora, nel ’19 , ci fu una domanda di rappresentanza non compresa, non accolta. Nuovi ceti sociali, nuove percezioni e trasformazioni che restarono senza voce. Come oggi. E poi un ritorno all’aggressività. Alcuni ceti si sentono abbandonati e diventano aggressivi. E la politica li segue. Così sta accadendo. Imparando a usare strumenti tipici di una politica senza veri progetti. Basta guardare ai nostri giorni. Fatti di rappresentanti , appunto, che non sono in grado di rappresentare il cambiamento.Nel 1919 il parlamentarismo non offre voce a tutto questo. Oggi i partiti tradizionali rischiano la stessa incapacità di dare voce .

Poi c'è il sovranismo . Declinazione del nazionalismo. Che spesso indica un nemico e tracima nel razzismo. Che ci dice il caso Segre?

C’è un orizzonte politico serio nel dibattito che ha portato alla creazione della commissione. Perché si basa sulla capacità di leggere nei fenomeni di antisemitismo il razzismo tout court. Ma ha dischiuso anche una serie di riflessioni sui nostri preconcetti .

In che modo?

Posto che a destra esiste una lunga frequentazione con la cultura antiebraica, quello che emerge è anche un “non detto” da parte della sinistra. Come la non citazione di Israele, che ha provocato facili reazioni a destra. Tipico di un mondo che cristallizza il suo rapporto con lo stato ebraico senza staccarsi da certi automatismi.

Come quello di non connettere ebraismo a sionismo?

C’è una difficoltà anche in settori riformisti a sistematizzare il problema. Scatta spesso un meccanismo automatico per il quale si può parlare di antisemitismo, stigmatizzandolo, ma subito aggiungendo: ma Israele... ecc ecc. A tal punto che spesso l’ antisionismo diventa la coperta sotto cui nascondere il nuovo antisemitismo . E , sempre lì sotto, allignano invece gli storici preconcetti antiebraici che trovano facile supporto nelle critiche a Israele di cui spesso si banalizzano le ragioni della sua stessa esistenza. Un meccanismo che, d’altro canto, non favorisce neppure la causa palestinese. E ci sono esempi recenti....

Si riferisce alla manifestazione “contro l'islamofobia” dove il leader della sinistra francese marciava fianco a fianco a giovani arabi che esibivano la stella gialla di David delle persecuzioni naziste?

Beh, e dove volavano i peggiori insulti antisemiti. In quel caso Jean Luc Melenchon sembrava essere a suo agio. E invece così affiancava non le serie istanze di integrazione democratiche degli arabi di Francia ma le loro pulsioni regressive , fuori dallo spirito repubblicano francese e di una reale integrazione democratica.

Insomma, quando c'è di mezzo un ebreo o Israele la strada per uscire dai preconcetti o dalle cristallizzazioni, come le chiama, è ancora lunga ...

Direi di sì. Anche se una donna come Liliana Segre è l'immagine di un possibile futuro di comprensione. Basta che non si tiri per la giacca...

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