LA MOSTRA»ALLA GALLERIA TANART DI CANAZEI

CANAZEI. La mostra che si è aperta ieri a Canazei alla Galleria Tanart di Sergio Rossi non ha un titolo, o, almeno, è rappresentato da un’ unica parola molto semplice: “Schweizer”, ossia il pittore...


di Giorgio Dal Bosco


CANAZEI. La mostra che si è aperta ieri a Canazei alla Galleria Tanart di Sergio Rossi non ha un titolo, o, almeno, è rappresentato da un’ unica parola molto semplice: “Schweizer”, ossia il pittore primierotto ma anche francese, detto il “Picasso italiano”. Come appare evidente è una mostra monografica in cui saranno esposti 25 dipinti e 4 ceramiche, opere, alcune inedite, che saranno presentate e analizzate da un critico d’ arte molto apprezzato soprattutto all’estero, più nel resto d’ Italia che non in Trentino, un esempio, in altre parole, di un “nemo propheta in patria”. Tutto sommato, anche Riccardo Schweizer, almeno per certi tratti, è stato un “nemo propheta” nel senso che la sua indubbia grandezza trae origine da un amore stilistico profondissimo e unico: quello di Pablo Picasso, suo idolo e maestro.

Riccardo Schweizer è morto a 79 anni lasciando dietro di sé in campo nazionale una scia di entusiasmo che, a dire il vero, appartiene più agli appassionati ed estimatori che ai critici d’ arte. Ai primi piaceva e piace tuttora per un motivo molto semplice (ma non banale), elemento che poi è alla base della vera arte: l’ arte deve emozionare. E i suoi quadri, “comunque emozionano”. I secondi, i critici, (non tutti) giustificavano e tuttora giustificano la loro prudenza nel giudizio vedendo in lui un limite espressivo originato dalla sua formazione picassiana. E qui nasce una diatriba dialettica tra i critici d’ arte, diatriba che può (deve?) essere estesa ad altri pittori e scultori. I “detrattori” sostengono che Schweizer, da considerarsi comunque un “signor” artista, scimmiotta Picasso. I critici meno spigolosi obiettano che sì in Schweizer si respira l’ atmosfera picassiana, ma che lo spagnolo è stato tanto grande da creare e fondare una corrente pittorico-artistica di così radicale novità che coloro che la assimilarono facendola propria possono e devono essere considerati discepoli e non “copisti”. I “geni” sono unici, ma guai se non lasciano tracce. Ecco in quest’ ultimo distinguo, ossia influenza e non mera genuflessione davanti al Maestro, stanno la statura di Schweizer e il significato della mostra di Canazei. Maurizio Scudiero, infatti, nel depliant che accompagna la mostra scrive che “mentre Picasso lavorava su immagini ed archetipi che rimontavano alla sua terra, alla sua cultura, Schweizer lo seguì sulla stessa via: ma quella era solo l’ immagine esterna, la confezione, che li accomunava, perché i contenuti riferivano appunto a culture e sensibilità diverse. Infatti, nell’ opera di Schweizer troviamo segni e simboli ben precisi che riferiscono al suo «cammino» e non ad altri: un percorso che si snoda tra i villaggi di montagna del suo Trentino e quelli della Costa Azzurra, sua terra adottiva...».

I temi principali di questa mostra sono comunque la donna e la montagna che si fondono in una osmosi tutta loro, la donna come montagna e la montagna interpretata come donna. D’ altra parte in Schweizer, come in un qualsiasi altro artista con la “a” maiuscola, la terra e quindi l’ ambiente dove è nato e dove ha mosso i primi passi, magari ancor dentro la placenta della madre, rimane un marchio indelebile, un dna immutabile che le esperienze di altri ambienti fisici e culturali arricchiscono ma non deformano. Ah! la donna, sì la donna sempre presente nei suoi quadri. Trenta anni fa in un’ intervista ci disse che in un artista l’ ispirazione “c’ è, eccome. Lo dico sapendo dio contraddire molti miei colleghi che affermano il contrario”. Ma cos’ è l’ ispirazione? , chiedemmo. E lui: «Si può andare a letto con tutte le donne di questo mondo, ma l’ amore lo si fa con quella di cui si è innamorati. Questa è l’ ispirazione». Le opere in mostra coprono praticamente tutto l’ arco di attività del pittore. Alcune sono datate 1945 (Riccardo aveva 20 anni) altre sono dei primi anni del 1990. Dunque chi osserverà questi lavori avrà una panoramica dell'evoluzione artistica ma anche filosofica e introspettiva di Schweizer, quello Schweizer che, forse unico (o tra i pochi) pittore che con masochistica sincerità ci disse di odiare il successo sperando di non averlo mai. Intendeva dire che il successo è la morte dell’ ispirazione. Certo, lui come alcuni altri artisti, ha dovuto penare per ottenere “visibilità non il successo”. E ancora ci confessò che «la vecchiaia influisce moltissimo in un artista. Per alcuni addirittura è la fine. Per altri è il momento della loro massima espressione. Per me è uno strazio. Confrontandomi con il mio passato temo sempre di perdere in qualità». Con i critici ebbe parole dure affermando che talvolta alcuni di essi si esprimono con un linguaggio oscuro «per nascondere la loro ignoranza». Ebbe espressioni pesantissime anche per i galleristi. E concluse: «Quel quid che distingue un quadro da un’ opera d’ arte appartiene al mistero dell’ arte. Dirò di più. Quel quid è figlio dell’ ispirazione e quando essa si spegne quell’ artista diventa un brocco. Attenti alla celebrità. Maledetta celebrità. È la tomba dell’ espressione artistica. Ecco perché odio il successo». Galleria Tanart: orari da martedì a domenica dalle 10.30 alle 12.30 e dalle 16 alle 19.30.















Altre notizie

Attualità