La “Notte dei cristalli” La barbarie nazista si presenta all’Europa

di Giorgio Jellici Settantasei anni fa, la notte del 9 novembre 1938, si scatenò sul territorio del Terzo Reich (Germania, Austria e Sudeti) il più brutale “pogrom” dai tempi del Medio Evo, che...


di Giorgio Jellici


di Giorgio Jellici

Settantasei anni fa, la notte del 9 novembre 1938, si scatenò sul territorio del Terzo Reich (Germania, Austria e Sudeti) il più brutale “pogrom” dai tempi del Medio Evo, che passò alla storia – sarcasticamente - con il nome di “Kristallnacht” (notte dei cristalli), per via della quantità di vetri frantumati. Poco prima di mezzanotte orde di nazisti dettero alle fiamme più di 1.000 sinagoghe, compresi i rotoli della Tora, i libri di preghiera e i paramenti sacri. Gli stessi pompieri versavano canestri di benzina nei templi; intervenivano solo per evitare che bruciassero le abitazioni attigue dei bravi cristiani. Poi iniziò l’assalto agli altri edifici. Migliaia di abitazioni e 7.500 negozi di ebrei furono devastati e saccheggiati. La plebaglia si poteva finalmente servire: uscivano con radio, porcellane, argenteria, pellicce, tappeti e quadri. Fecero a pezzi i mobili e li buttarono dalle finestre; 29 grandi magazzini furono danneggiati e depredati. Uomini, donne, vecchi e bambini ebrei furono percossi sotto gli occhi della polizia. Altri furono obbligati a marciare per delle ore attraverso le città e gridare “siamo la rovina della Germania”. Altri furono ammassati in capannoni. Chi vomitava fu costretto a pulire il pavimento con la lingua o con i capelli. L’orgia di violenza, lo scempio e i saccheggi si protrassero per tre giorni e tre notti. Alla fine 98 uomini ebrei risultarono assassinati. Molti si suicidarono (tra cui uno dei fondatori della Deutsche Bank, dopo aver messo in salvo la propria famiglia), terrorizzati dalla brutalità e dal sadismo degli aggressori. 30.000 uomini furono internati nei campi di concentramento di Dachau, Buchenwald e Sachsenhausen, dove molti di loro persero la vita estenuati dalle percosse e dalla fame. Il capo SS del Tirolo annotò nel suo rapporto: “Gli ebrei che non hanno subito danni lo devono solo al fatto che non ci siamo accorti di loro”. Da dove venne tutto quest’odio antisemita?

In Germania le comunità ebraiche esistevano fin dai tempi dei romani. Periodi di pace si alternarono a roghi di sinagoghe e ad angherie d’ogni sorta. La politica della Chiesa (che deteneva anche il potere temporale) era intrisa di antigiudaismo. Gli ebrei vennero diabolicamente diffamati, accusati di deicidio, d’infanticidio, e perfino di avvelenare i pozzi o di diffondere la peste. Era proibito loro esercitare qualsiasi professione, salvo quella di straccivendolo, medico e prestadenaro. Dovevano indossare indumenti di foggia speciale, che li distinguevano dai cristiani, e risiedere in “ghetti”. Di sera le porte del ghetto venivano sbarrate. Poi, nella seconda metà dell’Ottocento, con le legislazioni liberali ispirate all’Illuminismo, gli ebrei acquistano a poco a poco pieni diritti e con l’apertura dei ghetti un’ondata di talenti, di fertilità intellettuale e d’operosità senza precedenti, tesa forse - più o meno coscientemente - a sublimare le umiliazioni subite, si diffonde come un’esplosione dalle comunità ebraiche. Abituati da venti secoli a resistere alle ristrettezze e alle persecuzioni, dediti fin dall’infanzia allo studio dei libri sacri, alla disquisizione e al pensiero astratto, padroni di alcune lingue (jiddisch, ebraico, tedesco e lingue slave), gli ebrei sono intellettualmente superiori, più lesti nel contrattare e più preparati delle popolazioni contadine e operaie in mezzo alle quali vivono, in maggioranza semianalfabete, tenute lontane dai libri, sia dai regnanti, che dalla Chiesa. E mentre i tedeschi, poco istruiti, temono la libertà acquisita ed esitano a farne uso, gli ebrei ne sanno approfittare. Anche le famiglie più indigenti sacrificano tutto per mandare i propri figli a scuole superiori. All’inizio del secolo scorso gli ebrei di Germania sostengono dieci volte di più l’esame di maturità dei tedeschi cristiani e già nel 1914 guadagnano in media cinque volte più di loro. A Vienna e a Berlino più della metà degli avvocati e dei medici, dei gioiellieri, dei banchieri, degli editori e dei librai è di origine ebraica, come lo è un terzo dei docenti universitari. Amano la Germania e l’Austria, la loro patria, e regalano ai propri figli le opere di Schiller e di Goethe. Durante la Prima Guerra mondiale 12.000 ebrei muoiono al fronte. È impossibile parlare della grande “Deutsche Kultur” fine Ottocento inizio Novecento senza citare Franz Kafka, Karl Marx, Stefan Zweig, Joseph Roth, Karl Kraus, Arnold Schönberg, Kurt Weil, Bruno Walter, Gustav Mahler, Max Reinhardt, Ernst Lubitsch, Fritz Lang, Billy Wilder, Fred Zinnemann ,Otto Preminger, Walter Benjamin, Hannah Arendt, Erich Fromm, Theodor W. Adorno e la Scuola di Francoforte, Walter Gropius, Mies van der Rohe e la Bauhaus, Albert Einstein, Sigmund Freud e centinaia d’altri fuori classe. Prima del 1933 (avvento al potere di Hitler) la metà dei premi Nobel di lingua tedesca è composta da ebrei. Questa realtà tuttavia, più che ammirazione suscita complessi d’inferiorità, fomenta paure, accende invidie e odio. Circola lo slogan che “gli ebrei sono la nostra rovina” e si attribuisce loro perfino la colpa della disfatta delle armate austro-germaniche nel 1918 (“invitte sul campo, pugnalate alla schiena!”). Insomma, all’antigiudaismo religioso si affianca l’antisemitismo razziale. Con le leggi razziste del 1935 li privano di tutti i diritti e l’antisemitismo diviene ragione di stato.

Il 18 ottobre 1938 15.000 ebrei d’origine polacca, domiciliati in Germania, furono dichiarati “apolidi” e trasportati al confine polacco. Rimasero lì per settimane, esposti alle intemperie e senza cibo. Uno di loro, Zindel Grynszpan, scrive al figlio Hirsch, diciassettenne, residente a Parigi, descrivendogli quella situazione disperata. E così il 7 di novembre Hirsch Grynszpan si compra una rivoltella, entra nell’Ambasciata tedesca e scarica – sconsideratamente - due colpi sul diplomatico Ernst vom Rath. Nonostante l’intervento del medico personale di Hitler, vom Rath muore due giorni dopo, il 9 di novembre 1938. Quella stessa sera Hitler, che non attendeva che questo pretesto, dà l’ordine di scatenare “il pogrom di novembre”, l’orgia antiebraica già da tempo segretamente preparata. Alla fine, per rimpiazzare la massa di vetri frantumati, si dovette ricorrere alla produzione d’un semestre dell’industria del vetro belga. Come se non bastasse, le comunità ebraiche dovettero pagare un miliardo di marchi di “ammenda per danni” (ca. 4,2 miliardi di Euro attuali). Nella sua brutalità e nello svolgimento secondo un piano dettagliatamente studiato, la “Kristallnacht” fu il preludio allo sterminio degli ebrei d’Europa, la shoah, la catastrofe che lasciò il centro Europa intellettualmente e umanamente mutilato per sempre. E declassato. Catastrofe doppiamente tragica, come osservò Eric Hobsbawm: primo perché successe, secondo perché nemmeno gli ebrei se l’aspettavano. Chi avrebbe potuto immaginare Auschwitz?

. (vedi dell’autore il libro: “Richard Löwy, un ebreo a Moena”).













Altre notizie

Attualità